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Il Popolo Resiano, lotta contro l'imposizione all'appartenenza alla Minoranza Nazionale Slovena

lunedì 18 aprile 2016

DOVE L’EGOISMO PREVALE SULLA NOSTRA GENUINA IDENTITA’

Articolo si Franco Tosoni

Vorrei riprendere alcuni stralci dell’articolo che Antonio Carioti pubblicò sul Corriere della Sera il 7 febbraio 2008 dal titolo: «Il Friuli diventerà jugoslavo». Lo faccio con l’intento di far capire, ancora una volta, che probabilmente non ci rendiamo ancora perfettamente conto che stiamo ricreando una situazione ambigua e confusa alla nostra identità, alla nostra cultura e ai nostri usi e costumi. Abbiamo aperto, per non dire spalancato, i portoni della nostra valle ai predatori della nostra identità senza tener conto che questi avvoltoi stanno facendo i loro interessi e noi
gli stiamo ancora incoraggiando a proseguire nei loro intenti, e siamo e restiamo immobili perché continuiamo ad accoglierli e aiutarli nei loro propositi, senza tener conto che ci incamminiamo, crudelmente, contro i nostri valori identitari. Non tanto per noi anziani che abbiamo armai fatto il nostro tempo, anche se abbiamo ancora molta forza per lottare, ma soprattutto per i giovani che un domani si ritroveranno con una identità psicologica personale devastante e con l’invasore identitario incalzante e in casa.
I venti della seconda guerra mondiale non si erano ancora placati, nondimeno:
«A Tito l'Istria e Trieste non bastavano. Gli jugoslavi intendevano annettersi anche gran parte del Friuli, ben oltre il vecchio confine italo-austriaco del 1915. Lo stesso eccidio di Porzûs, che nel febbraio 1945 vide un gruppo di partigiani comunisti italiani sopprimere alcuni resistenti della Osoppo Friuli, una formazione di antifascisti cattolici e azionisti, va inserita in questo quadro. Lo sostiene Elena Aga Rossi, autrice di vari studi sulla seconda guerra mondiale, sulla base di un documento inedito tratto dagli archivi britannici. Si tratta del riassunto di un colloquio, avvenuto il 1° gennaio 1945, tra una delegazione del Fronte di liberazione sloveno operante in val Resia, a nord di Udine, e un esponente della VI Brigata Osoppo, il partigiano «Livio».

Le intenzioni degli jugoslavi, tuttavia, continuavano ad essere alimentate dai propositi di occupare ed annettere  la Val Resia entro i propri confini. Perché la Val Resia allora? Cosa aveva di particolare per coltivare tanto interesse? Territorio, parlata, usi e costumi, tradizioni? O strategia politica?
Consapevoli delle loro forze e incoraggiati da fiancheggiatori resiani di ieri, come dai sostenitori di oggi, la Val Resia è sempre stata un territorio da occupare, come lo era nel 1945, così come si può capire oggi:
«Colpisce subito, nel testo del documento, l'arroganza degli jugoslavi. Da una parte ammettono di non essere «visti con favore» dalla popolazione della Val Resia, in maggioranza italiana. Ma dall'altra si dicono sicuri di poter annettere la zona: «Il destino di questo territorio sarà deciso da un plebiscito che sarà tenuto in presenza delle nostre forze armate, per cui il risultato può essere considerato certo». E aggiungono che «gli Alleati di fronte al fatto compiuto, certamente non esiteranno ad approvare la cessione della Val Resia alla Jugoslavia».

Oggi cosa possiamo dedurre, che Resia si può ancora annettere? Si, ma  non con le forze armate, ormai superate, bensì con la persuasione e la infiltrazione psicologica basata sulla propaganda culturale, sugli aiuti economici, un posto nella storia, e sull’egoismo personale, senza tener conto che così si infanga e si oltraggia la nostra genuina identità e tutto il popolo resiano.

Franco Tosoni

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