ROSAJANSKI DOLUNO - Dulïna se nalaža tu-w Reġuni Friuli-Venezia Giulia. Göra Ćanïnawa na dilä di mërä ta-mi to Laško anu to Buško nazijun.


IL SITO DEDICATO A TUTTO IL POPOLO RESIANO CHE TENACEMENTE CONTINUA A DIFENDERE LINGUA,CULTURA E TRADIZIONE


Il Popolo Resiano, lotta contro l'imposizione all'appartenenza alla Minoranza Nazionale Slovena

martedì 31 gennaio 2017

RIPRENDIAMOCI RESIA E I NOSTRI VALORI

Ricevo e Volentieri pubblico.
Articolo redatto da Franco Tosoni

A chi non vede, a chi non sente, a chi non parla, ma anche a chi non crede, a chi non ha memoria, a chi ha trascorso quei momenti difficili, ai giovani di oggi, lancio un segnale per cercare di salvare e di salvaguardare la nostra reale identità, conseguentemente faccio questo appello: Riprendiamoci Resia e i nostri valori. Per quale motivo? Bisogna ricordare che nella primavera del 1946 la situazione della Val Resia era molto seria, bisognava decidere, o rimanere con l’Italia oppure scegliere la Jugoslavia. Con una sollevazione popolare e con la presenza compatta della gente resiana, tutti uniti e concordi quel giorno, 1° aprile 1946, di fronte alla Commissione interalleata, che doveva decidere le sorti della nostra Valle, arrivata in Val Resia per verificare: i sentimenti, la coscienza, lo spirito della gente, la verità, la consapevolezza e la determinazione della collocazione da prendere, la gente di Resia scelse l’Italia.
Alla fine questa Commissione, al cospetto di questa manifestazione imponente, piena e solida della gente resiana, compatta e determinata, ha accertato, ha constatato, quindi si è dovuta rendere conto che Resia, alla dimostrazione di italianità verificata, non voleva assolutamente diventare una appendice della Repubblica della Jugoslavia, come qualcuno pensava, sperava e già auspicava. A conferma che Resia è sempre stata dei resiani, del suo popolo, e così per sempre resiana, che per sua scelta e determinazione Resia doveva rimanere italiana (ta laska), come già deliberato con plebiscito nel 1866, ma mai ta buska. Un popolo, quello resiano, che ha saputo e voluto scegliere il proprio destino. Passata la deriva in cui era caduta, confortata e incoraggiata da questa parentesi amara e nello stesso tempo gioiosa, la vita in Val Resia ha continuato il suo percorso con la sua normale quotidianità e serenità, a parte le questioni di lavoro ed emigrazioni stagionali tra vari Paesi europei. Orgogliosa nel riprendere forza e vigore per questa sua scelta, per questo NO deciso, per questo atto volontario e per questa preferenza motivata, quella generazione di resiani poteva dirsi, quindi, fiera della propria determinazione e della propria soluzione.
Questa parentesi ha inciso fortemente nella volontà della popolazione di allora con un suo credo: vanno bene gli italiani (tï laski), perché onestamente ci hanno sempre sfamati - chi non si ricorda in che modo durante e dopo la guerra i resiani, con il sacchetto in mano, e fra questi c’ero anch’io, a chiedere la carità per il Friuli? – non bene gli sloveni (tï buski), perché non ci hanno mai dato niente e aiutati, forse perché erano più poveri di noi, oppure se ne sono fregati di Resia in difficoltà, e per questa ragione, mï somö bili tï rosaijanski anu ҫiö mö bït rüdi tï rosaijanski. Questa consapevolezza poi è venuta meno attorno agli anni sessanta. Siamo stati, senza rendersene conto, traditi da chi, con scaltrezza e intenzione disonesta ha carpito la nostra buona fede. Në tï laski, mä tï buski. Sono arrivati i razziatori della nostra cultura, per esportarla e farla propria. Non faccio nome di questi “furbi”, anche se la loro identità e ben nota a tutti. Ingenui perché abbiamo facilitato chi, invece di comportarsi onestamente, era venuto a rubare la nostra genuina e onesta cultura. Dove è finito tutto quel materiale sottratto con inganno? Naturalmente a Lubiana. A Resia non è rimasto niente di tutte quelle registrazioni e quelle documentazioni carpite, trafugate con intenzione disonesta. Allora come puoi avere fiducia con i disonesti? Di tutte quelle registrazioni una copia è stata data al Museo Etnografico di Malborghetto – Palazzo Veneziano, con il patrocinio dei contributi sloveni, che poi, gira e rigira, sono i nostri, con un giro conto. Tali registrazioni sono classificate come: Registrazioni delle tradizioni popolari degli sloveni in Italia. Ma quali sloveni? A quella classificazione manca una denominazione e una definizione ben precisa, cioè dovrebbe chiamarsi, per dovere di onestà ed equità, così: Registrazioni delle tradizioni popolari resiane e delle minoranze slovene in Italia, per un semplice ed elementare motivo, perché la maggior parte di tali registrazioni, circa l’80% è di natura resiana, il resto è di altri luoghi sparsi nella Slavia friulana, e non tutti della minoranza slovena, se non in piccolissima parte. È evidente che per formalizzare, rinfrancarsi, dare senso alla loro cultura, bisognava sottrarla a qualcuno, in questo caso ai resiani, ingenui nella loro semplicità, tanto agli stessi resiani tutto quel ben di Dio non serviva, serviva a loro per dare forma e senso alla loro cultura con il materiale di ciò che apparteneva ad altri. Tutto questo non bastava agli avidi predatori perché poi hanno provveduto ad usare le nostre canzoni per i lori concerti, modulandone e variandone l’originalità resiana, storpiando e deformando il nostro ballo, usando strumenti e altri dispositivi musicali, anche e non conformi a quelli resiani, con uso improprio addirittura, con falsa imitazione, dei nostri costumi folkloristici. Possiamo dire che se tutto questo è avvenuto, e continua ad avvenire, la colpa è anche del nostro Gruppo Folkloristico Val Resia perché non si è mai sentito che abbia mosso alcun ammonimento, richiamando all’ordine i vari gruppi sloveni che, di fatto, hanno solo prodotto danno alla nostra danza e alla nostra musica, dando una cattiva immagine anche al nostro Gruppo. Così facendo non fanno altro che calpestare, umiliando e oltraggiando la nostra cultura, e noi cosa facciamo? Forse adesso qualcosa si sta muovendo, a difesa della nostra coscienza e della nostra onestà. Mi riferisco alla lettera che Identità e Tutela Val Resia ha redatto ed inviato a vari organismi preposti per la salvaguardia della nostra musica e del nostro ballo. Fra non molto diranno, come stanno già facendo con la nostra lingua, senza un minimo di vergogna, imbarazzo e pudore, che anche le canzoni ed il ballo sono stati importati dalla Slovenia e che ora noi, impropriamente, ne facciamo un uso improprio e licenzioso. E’ tempo di dire basta, di fermare questi barbari della nostra cultura e chiedere la restituzione di tutto questo materiale trafugato, dire basta all’uso improprio della nostra danza e dire basta all’uso scorretto e disdicevole della nostra musica.
Adesso noi siamo diventati terra di conquista, soprattutto per una questione molto semplice e dolorosa, amara e tormentosa. Al momento ci siamo pure inventati una fantomatica minoranza, deformando e alterando la nostra identità. Infatti un gruppo di resiani, senza vergogna, senza avere nessuna genealogia, in linea retta o indiretta, affinità, discendenza, famiglia, stirpe, ceppo, appropriandosi di una falsa identità di appartenenza alla minoranza slovena, se non per un certo numero di parole, (se je kapïjë fys kako kako bisido) che poi sono affini con tutti i popoli slavi, si dichiarano, manifestando apertamente questa presunzione, e non tutti sono di origine resiana, tï laski di fatto e di nome, di appartenere alla minoranza slovena a Resia. Volesse il cielo e per volontà divina. Un motivo ci deve pur essere, e questo motivo o questi motivi, dove ci conducono, o dove li conducono? Presumo che tutti questi interessi non sono legati al sentimentalismo ideologico, all’amor di patria linguistica, ma da pensare che sono l’immaginazione per altri scopi e per altra fede. Credo che non ci vogliono grandi intelligenze per capire le motivazioni, quindi ognuno di voi e di noi deduca la propria interpretazione, la propria osservazione e la propria convinzione. Questi ci portano alla deriva, alla rimozione dei nostri valori e delle nostre tradizioni. Ci sono interessi e un progetto ben preciso, quello di toglierci la nostra identità, le nostre tradizioni, i nostri valori.
E’ ora di finirla con questa commedia, è giunta l’ora di voltare pagina e di riprendere in mano la nostra originalità, la nostra identità, per conservare e difendere i nostri valori, per questo dico: Riprendiamoci Resia e i nostri valori.
Franco Tosoni

11 commenti :

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  2. Andrea, ti pensavo più onesto. Visto che ti interessa soltanto la questione "italianità" per la quale, noi resiani, tu non sei interessato poiché non fai parte del coro, ci siamo venduti all'Italia, forse la colpa maggiore è quella di non essere stati comprati, gratuitamente, o che non ci siamo venduti noi, per soldi, alla Slovenia? Evidentemente in quei momenti della scelta è mancato forse un sensale, un mediatore di matrimoni, o per meglio dire un combinatore. La nostra colpa, secondo il tuo punto di vista, è che forse ci siamo adeguati alla scelta precedente, ma non credo che chi si è battuto, allora, per una Resia italiana era da considerare tanto stupido e avveduto nel non aver valutato bene questa preferenza motivata, come non ci possiamo considerare adesso noi di possedere una scarsissima intelligenza se sosteniamo e condividiamo la stessa impostazione. Poi, perché ti sei soffermato e accusato soltanto sulla questione italianità quando, nel corpo della lettera, ci sono altri problemi ed altre questioni che mettono in pericolo e indeboliscono la nostra identità, la nostra musica e la nostra danza? Per non averlo fatto adesso io ti dico, e ti ribadisco, che nelle tue argomentazioni sei poco onesto, prima con te stesso e in seguito con il popolo resiano.

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  3. No, in questo caso se c’è una persona disonesta sei proprio tu, anzi ti dirò di più, sei proprio un menarrosto, perché gira e rigira, come un girarrosto, che poi è la stessa cosa, continui a menare lo stesso argomento, lo stesso motivo e lo stesso ragionamento, l’italianità. A questo punto, visto che non riesci a digerire l’italiano, io me ne sarei già andato altrove, fuori da Resia, dal resiano/italiano, in un paese dove avresti la possibilità di parlare solo ed esclusivamente il resiano/sloveno, e sai dove, dalla tua tanto amata Slovenia. Nel 1866 c’è stato un plebiscito, c’era da scegliere da che parte stare, l’allora popolazione, “deficiente”, della Slavia friulana, compresa Resia, scelse l’Italia. Comprendi? Adesso, se vuoi promuovere tu un altro plebiscito, o un’altra consultazione, non fai altro che farti promotore di questa iniziativa e vediamo come andrebbe a finire. Bla, bla, bla, forse sei capace solo di bla, bla bla, un perditempo.
    Io ti ho già detto, nel mio precedente intervento, che nel corpo della mia lettera ci sono altri problemi ed altre questioni che mettono in pericolo e indeboliscono la nostra identità, la nostra musica e la nostra danza. Perché questi problemi per te sono forse meno stimolanti da non parlarne?

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  4. Su segnalazione rimetto l'articolo completo tratto:

    ( Prima Parte)

    Da il giornale LIBERTA' del 02-04-1946

    AL SUONO DELLE CAMPANE
    Ce ne accorgemmo subito allorquando la lunga e caratteristica colonna di Pakard, dopo avere attraversato il semi distrutto abitato di resiutta si ingolfò in uno stretto dedalo di vicoletti dal ciottolato sconnesso e infilò la Valle Resia che si schiudeva, dinanzi agli occhi attoniti, tra il verde dei suoi prati e il sole di primavera, come al sorriso invitante e cordiale di una bella ragazza. I viandanti, curvi sotto le gonfie gerle di fieno o pieni di ciottoli, volgono il colto dal denso polverone, agitando l'altra in un festoso saluto "troppa grazie- pareva dicessero- troppa grazia". Lungo la strada che costeggiando il fiume sale su su fino alle pendici del canin, le automobili della "Commissione" scivolano veloci e silenziose. ed ecco apparire, dall'uscita da un'ampia curva il campanile della frazione di San Giorgio.  Ma la commissione non si ferma e continua imperterrita la sua corsa puntando su Prato di Resia, capoluogo della valle. Anche qui festoni tricolori, un frenetico agitare di bandiere, la scosciante musica delle campane e tanto, tanto popolo che si riversa dalle case e sul sagrato della chiesa ove le macchine si sono fermate.  E' una manifestazione gaia e commovente al medesimo tempo e gli sfingei possono a mala pena seguire il sindaco che, aiutato da robusti giovanotti, si fa largo verso i locali ove avrà luogo l'inchiesta. I delegati hanno abbandonato il loro contegno solenne e sorridono cordialmente prendendo fotografie a destra e a manca. Vi sono moltissime donne che osservano la semplice eleganza delle delegate francesi ed inglesi, dandosi gomitate nei fianchi, nascondendo timide la loro allegra risata nel cavo della mano. E' uno strano paese Resia, un paese che esiste e non esiste al medesimo tempo; un paese polivalente; formato da ben sei frazioni, distanti parecchi chilometri le une delle altre. E' il complesso di questi paesini: Prato, Oseacco, Stolvizza, Gniva, San Giorgio, Coritis e Uccea che prendono il nome di Resia dal fiume omonimo che nasce dal Canin e scende rumoreggiando fino a Resiutta, sulla pontebbana, ove si getta il canale.
    L'ORGOGLIO DEI RESIANI
    I Resiani, sono molto orgogliosi del loro fiume che, come l'Isonzo che le acque intensamente azzurre. Ma di un'altra cosa essi menano gran vanto di quelle figure cioè che si ridisegnano al tramonto sulle pareti dei "Musi" che raffigurano delicate movenze di donna, profili monanari, criniere di leoni. Un gruppetto di giovanotti vuole a tutti i costi che veda lassù disegnato da una pietraia il profilo di Garibaldi. Nel frattempo i delegati hanno raggiunto la saletta loro appropriata in una locanda; si siedono chi attorno ad un lungo tavolo, chi accanto alle finestre spalancate sul fiume, aprono le loro pesanti cartelle, estraggono carte geografiche e fanno quindi chiamare il signor Clemente, il baffuto sindaco della Vallata. Questi entra nella sala ornata di edera accompagnato dalle concitate raccomandazioni della folla che gremisce i locali e la piazzetta antistante. Par di vedere uno scolaretto che accompagnato da troppe raccomandazioni, si appresta a sostenere con trepidazione il temuto esame.

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  5. (Seconda Parte )

    Il sindaco siede tra i delegati, duro ed impettito e risponde alle loro domande tenendo le braccia compostamente distese sul panno verde del tavolo. La porta è ermeticamente chiusa e lascia intravedere solamente le teste dei diplomatici, chine sui libri e su quaderni, intenti ad ascoltare ed a prendere annotazioni. Saputo che io sono un giornalista una enorme quantità di persone mi assale e mi costringe in un angolo. Dopo avermi sottoposto ad un serrato fuoco di fila di domande circa i metodi di inchiesta della commissione, la folla mi rivolge una valanga di informazioni e di preghiere. "Ditelo sul vostro giornale domani; ditelo che noi siamo italiani e che amiamo l'Italia perché  è la nostra madre! . Ditelo , che i nostri figli sono stati tutti alpini nella Julia, e che molti sono morti...troppi!". Non c'è più timidezza nel loro sguardo, c'è un'ansia ed una volontà che colpiscono e commuovono profondamente. Uomini e donne hanno gli occhi umidi e trema loro la bocca quando gridano "Viva l'Italia". Mi raccontano la storia su Resia una storia strano e interessante cui la leggenda si mescola con la verità. E' la storia di un gruppo di Unni al seguito di Attila, che fuggiti da Plezzo, hanno trovato pace e lavoro sulle sponde dell'azzurro Resia. Si sono abbarricati sulle zolle ciottolose di queste montagne, hanno costruito pietra su pietra le loro case, hanno generato uno ad uno i loro figli votati per sempre ad un lavoro duro ad una vita di sofferenza giorno per giorno. La miseria di queste genti è grande e il poco grano, le poche bestie, i pochi legumi non bastano al loro bisogno, E sono appena in tremila cinquecento. Nel 1420 passano sotto la dominazione della  Repubblica di Venezia,e nel 1866 furono incorporati nel regno d'Italia. essi parlano un dolce dialetto il "patois" resiano che trae la sua origine dalle antichissime migrazioni di soldati di Attila. Allorché il sindaco esce dalla saletta viene condotto al mio cantuccio, ove sono virtualmente prigioniero, ed è obbligato a ripetere in un silenzio religioso, parola per parola, le domande rivoltegli e le risposte fornite. "Mi hanno chiesto per prima cosa quale lingua parliamo - egli dice - che scuole e chiese abbiamo. Italiane, italiane, italiane ho risposto. mi hanno quindi chiesto quanti operai conta la vallata, come e dove lavoriamo. Quanti capi di bestiame abbiamo, qual'è la nostra situazione alimentare, quale è lo sbocco economico e commerciale di tutte le nostre attività. Il delegato sovietico, che fungeva da presidente mi poneva le domande a cui rispondevo a mezzo di interpreti. A un certo punto un delegato francese disse: non c'è alcun dubbio sull'Italianità di questa terra" ed al momento di congedarmi io raccomandai a lui la comprensione di quanto avevo esposto".

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  6. ( Terza Parte )

    E' ormai mezzogiorno e la Commissione lascia Resia dirigendosi a nord verso Stolvizza che riceve gli ospiti eccezionalmente con archi tricolore, campane a distesa ed un unanime accorrere di bimbi. Bimbi vestiti a festa con i capelli strigliati a dovere, accompagnati dalle madri che li protendono verso i delegati. I delegati sorridono, fotografano, esaminano la chiesa, si muovono nel minuscolo paese seguito da un codazzo di persone che battono le mani gridando "Italia". Le mamme ci tengono a far bella figura ad allorché hanno visto alcuni delegati accompagnarsi con i bimbi, ritoccano le toelet dei loro e li costringono a soffiarsi il naso volenti o nolenti a son di scapaccioni. La carovana riparte e si ferma alle porte di Resiutta per la colazione. verso le tre la colonna si muove di nuovo e, infilata la strada statale, si dirige verso Pontebba. Così la visita della Commissione giunge improvvisa ed inaspettata e la popolazione non si rende conto dell'improvviso movimento. A Pontebba la commissione si ferma per oltre 40 minuti ed interroga il sindaco sul numero di abitanti del comune sulle funzioni annesse dopo la guerra del'18 e sulla situazione politica della zona. Anche e Malborghetto e a Ugovizza, mete successive, l'arrivo dei delegati non dà luogo ad alcuna manifestazione ed i lavori d'inchiesta proseguano calmi, esaurienti, particolari. fra i crochi di curiosi che si aggirano attorno alle auto in parcheggio, due bellissime fanciulle attraggono l'attenzione generale "Parlate tedesco? - viene loro chiesto". " No siamo Italiane!! - esse rispondo- italiane puro sangue! c'era da giurarlo, erano troppo belle
    PIETRO FORTUNA

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  7. Andrea di qua, Andrea di là, Andrea su, Andrea giù, Andrea dovunque, Andrea sa tutto, Andrea ormai è diventato indispensabile, come il prezzemolo. Andrea posso scrivere questo, posso scrive quello, niente ogni cosa che scrivi lui sa tutto, ti riprende, ti insegna, questo non va bene, quello è sbagliato, non è che alla fine sei solo un semplice e grande rompicoglioni? Anni fa, molti anni fa, avevo visto un film da titolo: ...e si salvò solo l'Aretino Pietro, con una mano davanti e l'altra dietro…, del filone Decamerotico, non è che tu, con la tua linea di condotta segui il filone di questo film, anche se, visto la tua avversione per l’italiano/resiano, per caso, per qualche problema fisiologico, in un momento di distrazione, hai per caso tolto una mano da qualche parte e ti sei procurato un imprevisto, un qualche guaio? Irriti perché sei irritato, pungi perché sei pungente, sai perché sei sapiente, e noi, poveri esseri umani dalla sapienza limitata, dobbiamo soltanto inchinarsi al tuo sapere, anche se, per una semplice distrazione, un momentaneo smarrimento, hai tolto quella mano, solo per un momento, ma è stato fatale perché hai tolto proprio quella mano sbagliata.

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