ROSAJANSKI DOLUNO - Dulïna se nalaža tu-w Reġuni Friuli-Venezia Giulia. Göra Ćanïnawa na dilä di mërä ta-mi to Laško anu to Buško nazijun.


IL SITO DEDICATO A TUTTO IL POPOLO RESIANO CHE TENACEMENTE CONTINUA A DIFENDERE LINGUA,CULTURA E TRADIZIONE


Il Popolo Resiano, lotta contro l'imposizione all'appartenenza alla Minoranza Nazionale Slovena

lunedì 4 febbraio 2019

Il ricordo dell'eccidio delle malghe di Porzus e "Il Friuli diventerà Jugoslavo"

La commemorazione del 74esimo anniversario della strage. Riccardi: "Qui passa la nostra storia, che ha un significato molto più ampio di quanto possiamo pensare"

03 febbraio 2019
"La Giunta regionale proseguirà l'attenzione e l'impegno nella valorizzazione di Porzus, anzitutto perché lo merita l'Osoppo e lo meritano Paola Del Din, Cesare Marzona, Mario Toros e tutti gli altri che hanno fatto parte delle Brigate Osoppo, e perché qui passa la nostra storia, una storia che ha un significato molto più ampio di quanto possiamo pensare". Il vicegovernatore del Friuli Venezia Giulia Riccardo Riccardi ha concluso così, con un impegno chiaro da parte dell'amministrazione regionale "a tenere d'occhio quello che accade qui intorno a Porzus, luogo dove si sono incrociate tante fratture della storia europea" il suo intervento nella parrocchiale di Canebola, momento conclusivo della commemorazione del 74mo anniversario dell'eccidio delle malghe di Porzus.
"Quello di Porzus non fu un triste episodio che si svolse tra gente incattivita dagli eventi in un angolo periferico della storia italiana e europea: fu - ha sottolineato Riccardi - un assassinio perpetrato con determinazione in un luogo cruciale dove andavano a scaricarsi le tensioni che l'Europa del Novecento stava vivendo, e che vide Bolla, Enea e i loro uomini eroici protagonisti". L'intervento del vicegovernatore ha preso avvio con l'omaggio a Marzona e Toros, che "ci hanno lasciato la scorsa primavera a poche settimane di distanza l'uno dall'altro, due personalità assai diverse ma verso cui i friulani hanno un grande debito di riconoscenza" ed è proseguito nel ricordo della visita in forma privata del Presidente della Repubblica Cossiga e di quella ufficiale e definitiva di Napolitano.
"Forse - ha osservato Riccardi - non abbiamo ancora compreso bene il significato di quel gesto: dopo decine di anni in cui si volle pervicacemente negare ciò che era avvenuto, la Repubblica in quel maggio del 2012 rese finalmente omaggio ai valorosi uomini di Bolla e Enea". Valorosi, ha aggiunto il vicepresidente, "perché potevano cavarsela e scampare in qualche modo, invece decisero di mantenere fede al loro ideale e al loro impegno".
Nel ricordare il sigillo conclusivo apposto dal presidente Napolitano su ciò che l'Osoppo prima e gli storici poi avevano sostenuto, "ovvero che gli osovani combatterono perché fosse preservata la Patria e la libertà per tutti", Riccardi ha voluto fare cenno però anche ai lunghi anni del cono d'ombra. "Ancora nel 2008 Wikipedia dedicava poche righe alla voce 'Eccidio malghe di Porzus' ed erano righe che lanciavano un messaggio inquietante: dicevano che la Brigata Osoppo aveva tenuto un atteggiamento quantomeno equivoco verso fascisti e nazisti, in pratica dicevano che l'Osoppo se l'era andata a cercare", ha ricordato il vicegovernatore aggiungendo che oggi la stessa Wikipedia dedica decine di pagine a questa pagina di storia incancellabile.
Citando i predecessori illuminati che hanno attribuito a Porzus il complesso ruolo e il profondo significato nella Storia - i presidenti della Regione come Berzanti, testimone silenzioso, o come Comelli, che negli anni '80 aveva autorizzato la Provincia ad acquisire le malghe, fino a Serracchiani, che nel 2017 decise di affidare alla Osoppo la loro gestione - Riccardi ha rinnovato l'impegno della Giunta Fedriga a continuare sulla strada della doverosa valorizzazione e della ricerca storica.
Le celebrazioni per il 74mo anniversario hanno preso avvio a Faedis con il tributo ai Caduti delle associazioni combattentistiche e dei rappresentanti delle istituzioni - tra cui il presidente del Consiglio regionale Piero Mauro Zanin che ha preso parte alla cerimonia con i consiglieri Cristiano Shaurli, Franco Iacop ed Elia Miani - a cui sono seguiti gli interventi del sindaco di Faedis Claudio Zani e del presidente dell'Associazione Partigiana Osoppo (Apo) Roberto Volpetti.
Volpetti nel suo discorso ha ricordato don Emilio De Roia, "gigante del Friuli di cui ricorre oggi il 27mo anniversario della scomparsa" e mons. Giuseppe Nogara, "l'uomo che era riuscito a parlare con tutti, che aveva salvato la vita a centinaia di persone, fra le quali anche Cesare Marzona" ma che, ha sottolineato Volpetti, è "sempre dimenticato, quando non oggetto di accuse ingiuste".
Rivolgendo a Riccardi il grazie per il sostegno che la Regione ha dato e continuerà mantenere per il Monumento nazionale di Topli Uorch, Volpetti ha ringraziato anche l'assessore regionale alla Cultura Tiziana Gibelli, "presente alla cerimonia certo per dovere istituzionale ma anche per un doveroso atto di ricordo a omaggio alla mamma Rita, partigiana osavana di Polcenigo".
A Canebola dopo la Santa messa concelebrata da don Gianni Arduini ha preso la parola a nome dell'Apo la Medaglia d'oro al valor militare Paola Del Din; al suo commosso contributo sono seguiti gli interventi del sindaco di Udine Pietro Fontanini, di Francesco Tessarolo per la Federazione dei Volontari per la libertà, dell'onorevole Roberto Novelli e infine la relazione dello storico Tommaso Piffer.




Nello stesso tempo,vi propongo questo articolo di Carioti Antonio, datato 7 febbraio 2008, e pubblicato dal "Corriere della Sera".

CORRIERE DELLA SERA
07/02/2008
Carioti Antonio

INEDITI L’ECCIDIO COMPIUTO DAI COMUNISTI ITLIANI ALLA LUCE DI NUOVI DOCUMENTI BRITANNICI

“Il Friuli diventerà jugoslavo”
Così i partigiani di Tito preannunciarono la strage di Porzûs

A Tito l’Istria e Trieste non bastavano. Gli jugoslavi intendevano annettersi anche gran parte del Friuli, ben oltre il vecchio confine italo-austriaco del 1915. Lo stesso eccidio di Porzûs, che nel febbraio 1945 (oggi è l’anniversario) vide un gruppo di partigiani comunisti italiani sopprimere alcuni resistenti della Osoppo Friuli, una formazione di antifascisti cattolici e azionisti, va inserita in questo quadro. Lo sostiene Elena Aga Rossi, autrice di vari studi sulla seconda guerra mondiale, sulla base di un documento inedito tratto dagli archivi britannici. Si tratta del riassunto di un colloquio, avvenuto il 1° gennaio 1945, tra una delegazione del Fronte di liberazione sloveno operante in Val Resia, a nord di Udine, e un esponente della VI Brigata Osoppo, il partigiano “Livio”. Fu appunto quest’ultimo che trasmise agli Alleati il resoconto della discussione: “Il suo vero nome era Romano Zoffo – riferisce al Corriere Giannino Angeli, dell’Associazione Osoppo – e sarebbe morto nei giorni della Liberazione, ucciso a tradimento dai cosacchi alleati dei tedeschi”. Colpisce subito, nel testo del documento, l’arroganza degli jugoslavi. Da una parte ammettono di non essere “visti con favore” dalla popolazione della Val Resia, in maggioranza italiana. Ma dall’altra si dicono sicuri di poter annettere la zona: “Il destino di questo territorio sarà deciso da un plebiscito che sarà tenuto in presenza delle nostre forze armate, per cui il risultato può essere considerato certo”. E aggiungono che “gli Alleati di fronte al fatto compiuto, certamente non esiteranno ad approvare la cessione della Val Resia alla Jugoslavia”. Unico ostacolo, come nel resto del Friuli orientale, sono i partigiani italiani estranei al Pci. Infatti quelli comunisti della Brigata Garibaldi “Natisone” si erano sottomessi al comando jugoslavo, che li aveva trasferiti in Slovenia. Lo stesso, secondo gli ufficiali di Tito, avrebbero dovuto fare i combattenti osovani. In caso contrario, ecco la minaccia slovena: “Non è impossibile che un giorno ci giunga l’ordine di disarmare le formazione Osoppo nei dintorni della Val Resia”. Zoffo non si lascia intimidire. Risponde che il destino della valle deve essere “deciso dalla Conferenza di pace”. E riferisce di aver informato gli sloveni “che, se avessero deciso di disarmarci, non avrei permesso loro di farlo e avrei resistito fino all’ultimo”. I presupposti per uno scontro cruento ci sono tutti: non avverrà però in Val Resia, ma più a Sud, dove il comandante degli osovani era Francesco De Gregori (zio dell’omonimo cantautore), primo obiettivo della spedizione omicida di Porzûs. Fra le vittime ci sarà anche Guido Pasolini, fratello del poeta e regista Pier Paolo. “L’eccidio di Porzûs – commenta Elena Aga Rossi – appare quindi l’epilogo di una serie di mosse attuate dalle forze di Tito per assicurarsi il controllo del Friuli orientale. Il loro progetto era fare piazza pulita di ogni presenza ostile all’annessione alla Jugoslavia, che sarebbe stata imposta alla popolazione con un plebiscito farsa, tenuto sotto la minaccia delle armi”. Che i mandanti della strage fossero gli jugoslavi era anche la tesi di Giovanni Padoan, ex partigiano comunista morto un mese fa a 98 anni, che nel 2001 fu protagonista di una cerimonia di riconciliazione con il sacerdote osovano Redento Bello. Allora Padoan ammise che complici del misfatto erano stati anche i dirigenti del Pci di Udine, che avevano dato il via libera all’esecutore diretto del massacro, Mario Toffanin, legato strettamente alle forze jugoslave. Altri elemti vengono poi da una relazione del maggiore Mcpherson, della missione militare britannica nella zona, reperita dallo studioso Tommaso Piffer: “L’ufficiale alleato – spiega – elenca una serie impressionante di azioni slovene ai danni degli osovani: sostiene che i partigiani di Tito li accusavano di essere complici dei nazisti e al tempo stesso mettevamo i tedeschi sulle loro tracce”. D’altronde tutto ciò rispondeva alle direttive impartite dal capo comunista sloveno Edvard Kardelj in una lettera del 9 settembre 1944, citato dallo storico Alberto Byvoli in un volume, uscito nel 2003, che raccoglie i documenti della Osoppo: “Non possiamo lasciare su questi territori – scriveva il leader slavo, riferendosi alla zona di operazioni dei suoi partigiani, nemmeno una unità nella quale lo spirito imperialistico italiano potrebbe essere camuffato da falsi democratici”. Più chiaro di così…

sabato 2 febbraio 2019

PRE MENI SIMBOLO DEL FRIULI

Lettera di Lidio Buttolo a “Noterelle del nostro tempo” di Sergio Gervasutti

Mi pare di averla intravista, egregio dottor Gervasutti, il giorno sabato 12 gennaio a Majano in occasione della cerimonia per l’intitolazione della biblioteca comunale a pre Meni Zannier (mio fraterno amico nonché coetaneo); una cerimonia più che dovuta e molto partecipata, giustamente meritata da quello che è stato il più grande poeta friulano.
Lei ha anche partecipato anni fa (io c’ero con pre Meni) a una cerimonia nell’alto Cividalese, vicino alla casa di Mario Ruttar, per lo scoprimento di una significativa icona.
Queste premesse sono per evidenziare come pre Meni, parroco di Lusevera dal 1960 al 1972, sia stato tanto benvoluto nella mia natia Alta Val Torre; ha imparato subito il nostro peculiare dialetto “po-nasin” e l’ha difeso strenuamente (conosceva bene lo sloveno) anche sulla stampa contro chi voleva slovenizzarci e affibbiarci la nomea come gente della minoranza slovena.
Noi friulani dell’alto Torre con pre Meni abbiamo perso oltre che un friulanista di immensa caratura, uno strenuo difensore della peculiarità dialettale locale nemmeno minimamente assimilabile alla realtà slovena.
Le sarò grato, dottor Gervasutti, se vorrà pubblicare questa mia lettera che vuole essere ancora una strenua difesa, come appunto sosteneva il compianto pre Meni, dell’italianità totale e integrale della gente del comune di Lusevera, che qualcuno si ostina ancora a classificare di minoranza slovena.

Risposta del dott. Sergio Gervasutti

Tra gli amici lo chiamavano “Zizanie”, cordiale richiamo al cognome e al modo di vivere e di leggere gli avvenimenti in cui affondava la sua sensibilità. Domenico Zannier era l’immagine tipica del personaggio friulano, tanta sostanza, nessuna spavalderia: era stato preso in considerazione per ottenere il premio Nobel, ma la notizia non aveva suscitato il clamore che avrebbe meritato e credo che sia sfumata nel silenzio. Considero un privilegio scrivere di lui in questa breve rubrica e ringrazio il cavalier Lidio Buttolo per avermene data l’occasione.
Naturalmente chiedo venia per non dilungarmi opportunamente nel ricordare cosa abbia significato la presenza di don Zannier nella nostra terra: insegnante, sacerdote, scrittore, poeta, giornalista è stato fautore di straordinarie iniziative tra le quali “Scuele libare furlane”, un’istituzione che ha contribuito a nobilitare il friulano (l’uomo e la lingua) di cui era straordinario cantore.

Tratto dal Messaggero Veneto del 2 febbraio 2019

giovedì 31 gennaio 2019

L’Unesco inaugura l’Anno delle Lingue Autoctone

Trecentosettanta milioni di esseri umani nel mondo parlano lingue tramandate da generazioni nei luoghi spesso impervi e difficilmente accessibili in cui si sono stabilite le tribù dei loro antenati. Queste popolazioni rischiano di perdere il proprio patrimonio culturale e sono escluse dal progresso, che con le nuove tecnologie impone una lingua universale. L’Unesco ha lanciato l’Anno Internazionale delle Lingue Autoctone, d’intesa con l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La comunicazione è alla base della pace.
“Ogni due giorni una lingua autoctona sparisce. La diffusione della tecnologia nelle lingue dominanti influenza la ricerca scientifica e l’accesso al progresso”, ha sottolineato la direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, in apertura della cerimonia nella sede dell’Unesco, a cui sono stati invitati i rappresentanti delle culture indigene. Azoulay ha inoltre confermato l’attenzione internazionale nel percorso di sostegno intrapreso nel 2006 con la Dichiarazione dell’Onu sui Diritti dei Popoli Indigeni, che recepiva le conclusioni della Convenzione dei Popoli Indigeni e Tribali nel 1989 e della Conferenza mondiale dei Popoli Indigeni, svoltasi nel 2014, ponendo il tema tra le priorità dell’Agenda di Sviluppo Sostenibile entro il 2030. Il piano di interventi fornirà informazioni su clima, ambiente (una delle priorità congiunte con l’Onu è combattere il surriscaldamento della Terra, attraverso l’adozione di comportamenti responsabili), medicina, e moda, inclusa nel patrimonio immateriale dell’umanità.

venerdì 25 gennaio 2019

SKAK sull'ultra millenaria civiltà RESIANA

Articolo redatta da Gilberto Barbarino

Nei 20 secoli di esistenza della civiltà RESIANA, dei quali 14 di permanenza nella Valle di Resia, mai nessun potere straniero,  mai nessun despota, amministratore, politico, religioso, ecc. ha mai messo in discussione, avversato, condizionato, vilipeso, mancato di rispetto o combattuto la nostra identità. Dopo 20 secoli ecco allungarsi sulla NOSTRA VALLE la concupiscenza e la cupidigia degli sloveni che, senza mezzi termini vogliono annullarci e inglobarci nella piccola nazione slovena. Hanno assoldato alcune persone del luogo  di carattere governabile e le hanno “costrette”ad operare nella canalizzazione che dovrebbe portare l’acqua del Resia nella Sava.
Da qui, i seguenti skak a cadenza di tempo:
1° skak: richiesta di inserimento del Comune di Resia nella tabella annessa alla legge 38/01, con atto provatamente falso in cui è tra l’altro dichiarato che a Resia “… è tradizionalmente presente, in lingua cultura e tradizioni, la realtà linguistica dialettale resiana che fa riferimento alla minoranza slovena”;                                           
2° skak : concessione agli sloveni di classificare opere e tradizioni resiane come cultura slovena (Museo Etnografico di Malborghetto docet!);                                                                                   
3° skak : pretesa ed ottenuta assunzione della  gestione della Casa della Cultura resiana;
4° skak: appropriazione indebita del Gruppo Folkloristico Val Resia;
5° skak : tentativo d’imporre la grafia slovena e scarabocchio sull’Atlas delle lingue in pericolo di estinzione edito dall’UNESCO;
6° skak: imposizione rilascio carta d’identità bilingue, cui ha fatto seguito una puerile querela;
7° skak: gite politiche di sloveni in Val Resia;
8° skak: Odiosa presentazione alla RAI del Gruppo Folk VR come espressione culturale slovena;
9° skak: voto alla Slovenska Sk di ben 33 filosloveni resiani (con caco in lista)
10° skak :” …la nostra lingua è un dialetto sloveno” ed altro : irrispettosa dichiarazione fatta da filoslovena “resiana” al Messaggero Veneto nel febbraio 2018;
11° skak : partecipazione di eminenza slovena alla festa dell’Assunta del 15.8.18 divenuta                                                                 
                Messa politica e quindi smarnamisa slovena;
12° skak: scippo da parte di filosloveno stolvizzano del bollettino “All’ombra del Canin”;
13° skak: sceneggiate al cimitero di Oseacco dove nessun partigiano sloveno è mai stato sepolto.

venerdì 11 gennaio 2019

Resia: ITVR - Identità e Tutela Val Resia INFORMA

Sabato 5 gennaio 2019 si è tenuta l’Assemblea annuale della nostra Associazione.
Mi ha fatto piacere vedere che molti Resiani sono venuti da lontano, perfino da Milano, per assistere alla riunione, consapevoli dell’importanza e speranzosi di sentire notizie positive per la soluzione della nostra difficile situazione.
Per chi ancora non lo sapesse i Resiani si battono per il riconoscimento della IDENTITA’ RESIANA, che è stata negata da una legge truffaldina, ingiusta e sbagliatissima: siamo stati associati alla minoranza slovena. Sì, perché qui viene messa in discussione la nostra IDENTITA’ DI RESIANI. Il nostro territorio, come anche quello delle Valli del Torre e del Natisone, storicamente considerati Sclavania, Slavia Friulana, Slavia Italiana ed i suoi abitanti Roseans, Sclafs, ecc. all’improvviso è diventato parte di una minoranza estranea alla nostra: quella slovena. Come conseguenza di questo bliz subiamo una slovenizzazione forzata, la nostra storia viene manipolata e falsata, non siamo più padroni del nostro patrimonio storico: musica, cultura, danze, usanze, lingua, tradizione orale. Tutto viene etichettato come “sloveno” e ne conosciamo anche il motivo. Gli sloveni, già suddivisi in Carinziani, Štajerski e Carniolani, dopo secoli di dominio austriaco hanno perso la loro identità slava ed hanno bisogno di appropriarsi della nostra essenza slava.
La nostra lingua resiana non è un dialetto sloveno.
Il resiano non può essere un dialetto sloveno in quanto la sua origine ed evoluzione è indipendente dallo sviluppo della lingua slovena.
Relegare il resiano nel limbo dei dialetti sloveni rappresenta una mancanza di rispetto, una “diminutio capitis” per una lingua con la quale i Resiani, in quasi 1400 anni di convivenza si sono detti tutto, si sono trasmessi le conoscenze, la cultura, nonché arti e mestieri, tecnologia e musica.
Da parte degli slavisti, lo dice un saggio, viste le notevoli manchevolezze della legge 482/99 sono state seguite le articolate e complesse disposizioni che non tengono conto della realtà e dell’equità, ma solo delle forze di “intraprendenti” intellettuali congiunte all’opportunità di salvaguardare certi equilibri politici.
Quindi, catalogare il resiano tra i dialetti sloveni è soltanto un favore fatto al politico che tende la mano, ovunque possa farlo, per avere contributi: ciò è tecnicamente, storicamente e scientificamente un errore.
Allo stesso tempo noi Resiani non apparteniamo alla minoranza slovena in Udine, ma siamo Italiani con antiche radici slave.
Baudouin de Courtenay, illustre slavista, dopo aver spiegato perché i Resiani non sono Russi, scrive: “in simile maniera possiamo dimostrare che i Resiani non sono Bulgari, non sono Sloveni nel senso proprio di questa parola, non Serbo-Croati nel senso stretto, ecc. e che ci rappresentano dal punto di vista glottologico una stirpe slava indipendente”.
Per conoscere la nostra storia possiamo condividere quanto è sinteticamente riportato a questo indirizzo facente capo al Consorzio universitario del Friuli. http://www.cuf-ancun.it/lingue-minoritarie/resia/

Ecco in sintesi quanto ci siamo detti nel corso dell’incontro e ci siamo salutati con il vivo augurio di poter risolvere questa situazione per noi angosciante e vedere riconosciuta appieno la nostra IDENTITA’ RESIANA.

Il nostro augurio ai Resiani per l’anno 2019 è:

NO ŚDRAVÖ ANU BOHATÖ NÖVÖ LËTO – Buon anno in salute e prosperità

martedì 8 gennaio 2019

Resia, le Donne e Don Alberto Zanier

In questi giorni,abbiamo assistito ad un avvenimento sconcertante e nello stesso tempo triste.
Riguarda la presa di posizione di Don Alberto  sul modo in cui erano vestite le coscritte della classe 99 presenti alla Santa Messa a San Giorgio (Bila) di Resia il 1 Gennaio.

Mi preme di intervenire per chiedere un senso di responsabilità da parte di tutti,e tutti fare un passo indietro.
Tutti possiamo sbagliare,tutti possiamo chiedere scusa, tutti possiamo perdonare.
Domenica, sarebbe bello che alla funzione ci sia un segno di Pace e di Fratellanza, che il Popolo Resiano è capace e può fare.
Dimostriamo a tutti chi sono i Resiani.
Le donne Resiane,che da sempre sono state e sono la spina dorsale di queste terre.
Non possiamo dimenticare il Nostro Passato,le Sofferenze dei Nostri Padri e delle Nostre Madri..
Scambiamoci un Segno di Pace.
E facciamo si,che la Festa della classe 9,sia ricordata per la gioia di quei giorni,culminata con il Perdono e la Pace.
E che per sempre,questi sorrisi rimangano scolpiti nei loro volti,nel loro animo e nei loro ricordi.