ROSAJANSKI DOLUNO - Dulïna se nalaža tu-w Reġuni Friuli-Venezia Giulia. Göra Ćanïnawa na dilä di mërä ta-mi to Laško anu to Buško nazijun.


IL SITO DEDICATO A TUTTO IL POPOLO RESIANO CHE TENACEMENTE CONTINUA A DIFENDERE LINGUA,CULTURA E TRADIZIONE


Il Popolo Resiano, lotta contro l'imposizione all'appartenenza alla Minoranza Nazionale Slovena

martedì 22 marzo 2022

ORGOGLIO: ORGOGLIOSI DI ESSERE RESIANI E DI PARLARE “IL RESIANO”

 L’orgoglio di un piccolo paese. Ho cercato in questo breve video/servizio, già pubblicato con il mio articolo - APPARTENENZA -, di individuare l’essenza degli interventi che si sono succeduti. L’essere una comunità unita e orgogliosa della propria identità dimostra come l’attaccamento alle proprie origini, al proprio paese, alla propria lingua, sia per questa piccola comunità sfoggio di un orgoglio al massimo della sua aspirazione. Sono caratterizzati, questi abitanti, da una lingua parlata da oltre 1000 anni, e il loro desiderio è quello di tramandarla, così come gli è stata affidata e conservata. In altri luoghi, la stessa lingua, iniziando dai noti luoghi dei monti Lessini fino ad arrivare nella valle di Cembra Tn, percorrendo tutta la dorsale delle colline vicentine a nord, a ridosso delle piccole dolomiti vicentine, estendendosi poi su tutto l’Altopiano di Asiago, tanto da arrivare a lambire anche la pianura veneta. In tali luoghi ormai si è perso quasi ogni evidente collocazione e traccia se non per qualche piccolo episodio isolato, praticamente in vista del suo definitivo tramonto. La stessa sorte, così come si traduce il nostro folle e insensato comportamento, questo tira e molla, questo interesse di bottega, una fine che noi, questa è la mia sensazione, saremo costretti ad assistere quella conseguenza crudele e definitiva della nostra amata lingua.

Dal nostro discontinuo percorso, così come appare la situazione attuale, ci sarebbero delle interessanti indicazioni e suggerimenti che individuano chiaramente quanto si potrebbe fare e ottenere se le parti fossero unite. Le “parti?” Bisogna far presente che a Resia ci sono due “parti”, due percentuali. Quella “parte” che predilige essere considerata minoranza slovena a Resia, tale minoranza tuttora insiste e intende chiarire, in modo definitivo, tirando in ballo studiosi di parte, che l’origine del “dialetto resiano”, la pensano, la considerano, che sia (ma anche) evidente, senza alcuna “certezza e convinzione”, la sua origine slovena. Resiani senza orgoglio. Resiani di rivendita della nostra identità. È solo una piccola essenza, una piccola percentuale -, si stima, quella che si concede e indica quel percorso anche al resto della popolazione resiana, quella che dichiara che tutti i resiani sono di origine slovena e che noi resiani – la maggioranza imprescindibile -, di conseguenza, parliamo tutti un dialetto sloveno, cioè che la nostra lingua è un dialetto della lingua dialettale slovena, una lingua giovane, come dire che la figlia è nata prima della madre. Assurdo e irrazionale! Anche gli studiosi la “pensano”, ma non parlano di “certezze", perché non le hanno, di conseguenza la vogliano dare a bere alle persone prive di conoscenza specifica della realtà resiana e dei resiani. L’altra “parte”, cioè quella che ha una altissima percentuale, difende, invece, la nostra identità resiana, considera che noi parliamo una lingua, di matrice slava, il “resiano”, non come si valuta e si divaga, e non indica assolutamente che i resiani si esprimano in una forma dialettale, lingua russa o slovena che sia, ci considera un popolo, il popolo resiano, difende le nostre origini e cerca di salvaguardare: lingua, usi e costumi, danza, musica, cioè l’unicità e le singolarità delle nostre origini.
Noi ci consideriamo, e lo siamo, unici nel nostro genere. Siamo un popolo con una identità reale e una propria lingua, fra le altre nostre singolarità e particolarità, e lo dobbiamo fortemente considerare e difendere con orgoglio, mantenere, preservare e sviluppare con forza nostra storia linguistica e la nostra unicità.
Per non smentirmi, riporto nuovamente la frase che un giornalista ha riportato e trascritto, la breve dichiarazione del sindaco di Resia: “Abbiamo radici solide, costituite dalla nostra lingua, dalla nostra musica e dalle nostre danze, ma per noi adesso è prioritario mettere al centro del nostro agire le persone”.
Non uno qualsiasi, con tutto il rispetto, ma il sindaco di Resia. Ha parlato e dichiarato, “costituite dalla nostra lingua”. La nostra lingua! È evidente, quindi, che la nostra lingua è una sola e unicamente, “IL RESIANO”. Non lo sloveno, neppure il russo, ma “IL RESIANO”. Vergogna a non difendere la nostra lingua, capaci sono di offenderla e di ignorare la nostra realtà. Questi sono i resiani che si dichiarano: “Minoranza slovena a Resia”, autodefinizione o autocertificazione etnica più falsa che si potesse concepire.
Noi coesistiamo in questa Valle dal momento del nostro insediamento, e sono la bellezza di circa 1500 anni. Non sono pochi. Soltanto in questi ultimi anni c’è stato un cambiamento radicale, mentre prima gli abitanti erano, contadini, boscaioli, emigranti, gente semplice e onesta, ma uniti nel portare avanti la nostra identità, nessuno pensava al russo e tantomeno allo sloveno. Ci sono volute le nuove generazioni, quelle istruite, per cambiare le cose e instaurare in Valle uno stato confusionale; il loro! La riflessione che fa un commentatore: “A me fa pensare che qualcuno voglia portare a casa un profitto personale, ma per realizzare qualsiasi scambio bisogna essere in due.”
Se uniti, contrariamente, possiamo pressare con forza e convinzione sulle nostre istituzioni, darci quella che adesso è dispersa perché manchiamo di consistenza, concretezza e perseveranza. La ragione consiste nel fatto che noi siamo creditori nei confronti dello Stato italiano, vuoi per la scelta fatta a seguito del plebiscito del 1866 e quella preferenza generata il 1° aprile 1946, quella di aver scelto nuovamente l’Italia. Non abbiamo mai cercato, in tutte le configurazioni, mentali e materiali, le istituzioni slovene, perché sono istituzioni che non fanno altro e solo i loro interessi, il loro profitto. Resia gli fa molto comodo e ispira solo una sostanziale appendice saporita e appetitosa che poi, ottenuto il voluto, Resia sarebbe e verrebbe scaricata, svuotata e umiliata. Di tutto questo i nostri compaesani, cioè quelli che si proclamano diversi, sono consapevoli del rischio che la nostra unicità, incoraggiando quell’ avventura, potrebbe essere definitivamente compromessa?
La frattura, quindi, che si è venuta a creare fra le due fazioni, spinge le parti ad arroccarsi sempre più sulla propria posizione. Invece, si dovrebbe unire le forze e continuare nella ricerca di soluzioni e uniformare le forze per ottenere tanto e di più, molto di più, visto che siamo un popolo, un popolo diverso sotto tutti gli aspetti con una propria identità e tipicità.
Questo permetterebbe, una volta per tutte, di dare un chiaro segno e porre finalmente fine alle tante speculative teorie sulle nostre origini, ma seguendo altre strade, talvolta sconnesse e incerte, siamo sicuri che non arriveremo mai da nessuna parte. Questo dovrebbe significare che, unendo le forze, si potrebbe arrivare lontano, ad un concreto e significativo risultato, probabilmente come quella ricerca della nostra terra di origine, quell’inizio del nostro essere resiani.
Franco Tosoni

Letterina ........ Precisazione? Il presidente di chi? A nome di chi?


 

Radici Russe a Resia dove si accolgono gli sfollati Ucraini










 

Il legame di Resia con le ex nazioni sovietiche.

 La guerra in Ucraina vista da qui, nella Val di Resia, a pochi chilometri dal confine sloveno, evoca paure antichissime. Questa valle ha vissuto nei secoli le grandi tragedie del Novecento, dalla disfatta di Caporetto (1917) ai disastrosi terremoti nel 1976, che misero in ginocchio l’intera regione. Oggi quel senso di orrore pervade le 945 anime che vivono nella valle anche perché – non tutti lo sanno – Resia è considerato un “Comune russo” in terra italiana. “Per arrivare in Val di Resia bisogna avere un motivo – spiega il sindaco Anna Micelli, 47 anni, eletta nel 2019, figlia di genitori resiani al 100% -. È una valle nascosta, laterale, che nei secoli è rimasta chiusa in se stessa tramandando lingua, usi e costumi attraverso le generazioni”.

La lingua/dialetto di Resia, tema tuttora scottante tra i numerosi linguisti europei che continuano ad occuparsene, ricorda in forma sorprendente la lingua russa. Tanto è vero che nel 2016, tra Resiae Fryazino, città satellite situata nell’hinterland moscovita, è stato siglato un Patto di Amicizia che ha favorito scambi, incontri, relazioni. Che in Val di Resia si fossero insediate popolazioni slave prima dell’anno Mille è fuori di dubbio. E che la lingua parlata di origine russa sia rimasta praticamente inalterata nel tempo è altrettanto indiscutibile. I resiani sono fieri di appartenere a una comunità con una solida base identitaria e vivono il culto dei propri avi sostenendo e portando in giro per il mondo le proprie radici culturali, dalla musica alla danza e alla cucina tradizionale.

“Ma questa valle deve investire sul presente e sul futuro – aggiunge Micelli – per far sì che la montagna non si spopoli. I segnali sono incoraggianti, stiamo investendo sulla formazione dei più giovani, dalla fine (auspicata) della pandemia ci attendiamo una ripresa psicologica ed economica”. Queste giornate di guerra in Ucraina, tuttavia, adombrano lo sguardo del sindaco: “I nostri antenati hanno combattuto per la vita e l’amicizia tra i popoli, bisogna fermare subito il conflitto e sedersi attorno a un tavolo per negoziare. Chi ricorre alle armi non ha mai ragione”. 

Tratto da Friuli Oggi  del 26 febbraio 2022

martedì 25 gennaio 2022

IL CORAZZIERE DELLA VAL RESIA

Da Segni a Ciampi, i 45 anni del corazziere friulano al fianco dei presidenti: «Cossiga mi fece inaugurare il municipio di Resia» 
I racconti di Francesco Madotto, oggi alfiere dell’Arma al Quirinale

Ha trascorso 45 anni al Quirinale, vedendo passare sotto i suoi occhi sette presidenti della Repubblica. E ancora oggi, nonostante sia in pensione, continua a frequentare il palazzo per cerimonie ufficiali, con il ruolo di alfiere del medagliere dell’Arma dei carabinieri.

Lui è Francesco Madotto, classe 1939, friulano della Val Resia, che ha avuto il privilegio diservire, con la divisa da corazziere, Antonio Segni, Giuseppe Saragat, Giovanni Leone,Sandro Pertini, Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi.

Alla vigilia della scelta del successore di Sergio Mattarella, chi meglio di lui può raccontare come vengono vissuti i giorni della vigilia al Quirinale? Una testimonianza specchio del carattere del Madotto, misurato e rispettoso delle istituzioni, un vero predestinato nel ruolo di servitore dello Stato, essendo nato il 2 giugno, giorno della Festa della Repubblica.

Che aria si respira prima del voto per il nuovo presidente della Repubblica?

Non sono più in sevizio, ma per l'esperienza maturata e per la frequentazione del palazzoche ancora mi viene concesso, posso interpretare ciò che accade in questo periodo. Momenti vissuti senza preoccupazione, ma con curiosità nell'attesa del nuovo inquilino del quirinale.

Si parteggia per uno o per l'altro candidato?

No, dipendenti e colleghi corazzieri sono pronti ad accogliere a braccia aperte chiunque sia nominato.

Ci sono preparativi particolari?

Certo, c'è la cerimonia di insediamento a cui pensare. Ma prima c'è quella del commiato. Ne ho fatte diverse, e devo dire che sono momenti di grande emozione. Quando il presidente uscente saluta i suoi collaboratori, persone con cui ha condiviso gli ultimi sette anni di vita, l'atmosfera è davvero toccante. C'è un grande silenzio in quegli istanti.

L'insediamento, invece, è diverso?

Il trasferimento del nuovo presidente dal Parlamento al Quirinale è una vera festa.

Tra corazzieri e presidente si instaura un rapporto?

Resta sempre una doverosa distanza tra le parti. Ma nasce un rispetto reciproco che spesso porta il presidente a parlare con uno o con l'altro corazziere. Ci sono dei momenti in cui il Capo dello Stato è soltanto un uomo, e quindi cerca un confronto, un dialogo su cose banalie e della quotidianità.

Avrà un sacco di aneddoti da raccontare?

Ricordo bene Pertini, il lunedì,ci coinvolgeva sull'andamento della giornata sportiva. E quando incontrava scolaresche Friulane, oltre a citare le amicizie con Enzo Bearzot e con Dino Zoff, faceva riferimento a me, a un maresciallo friulano dei corazzieri.

Anche con Leone ci fu un rapporo speciale?

Dopo il terremoto del 1976 venne a sapere che tra le case distrutte c'era anche la mia, a Resia. Volle informarsi su quanto accaduto e mi disse di rivolgermi alla sua segretaria in caso di bisogno. Non lo feci e ricostruii la cas acon le mie forze. Ma apprezzai il gesto.

Mancano quei momenti?

Sicuramente, ma grazie all'Associazione nazionale carabinieri ho la possibilità di andare a palazzo. Questo mi aiuta a non sentirmi del tutto fuori dal mio ruolo. Corazziere una volta, corazziere tutta la vita. C'è ancora una cosa che vorrei aggiungere su Cossiga.

Prego

Mi chiamò nel suo ufficio e mi diede l'incarico di partecipare al suo posto all'inaugurazione del minicipio di Resia. Rimasi di stucco. Accettai e arrivai in paese in uniforme insieme al prefetto di allora. Era il 1988. La mia gente rimase colpita nel vedermi. Ne fui davvero orgoglioso.

Ha parlato di Resia, terra che ha dato un contributo importante ai corazzieri.

Quando arrivai al Quirinale, nel 1959, su 120 corazzieri, 25 erano Friulani.Oggi non ce ne sono più di 4 o 5. E a cavallo tra anni 70 e 60 eravamo addirittura in 3 solo della frazione di Oseacco di Resia. 

Le piacerebbe vedere un presidente Friulano?

Certo, ma non perchè sarebbe più bravo degli altri, ma per orgoglio territoriale.

Articolo tratto dal Messaggero Veneto del 21 gennaio 2022




martedì 31 agosto 2021

Deborah Puccio e la Val Resia

Come sei diventata e diventi donna nelle società montane del sud Europa? Nella vallata alpina di Resia, abitata da una minoranza slava, fu sotto la copertura del "sporco" babac o adornata della scintillante maskira che la giovane donna iniziò un viaggio rituale che la portò alle nozze.
Nella valle pirenaica di Bielsa, ancora oggi, è intorno alla abbagliante madama che la fanciulla tesse il suo destino. Non lontano da lì, nella piccola valle di Gistain, le lavorazioni tessili, la trasmissione dei beni tra donne di diverse generazioni, i giochi di velare e svelare, di essere e di apparire iniziati al carnevale continuano nelle feste di mezza estate e nei festeggiamenti celebrati in onore del santo patrono. Tramite la studio comparativo dei carnevali e delle feste attraverso cui si sviluppa la femminilità, Deborah Puccio mette in luce la continuità tra riti secolari e celebrazioni religiose analizzando il sistema di omologie, contrapposizioni e differenze tra maschere, ruoli rituali, figure mitiche e immagini cristiane di santi e vergini che, in un sottile gioco tra carattere e persona, far emergere la nuova identità delle giovani ragazze. Una prospettiva innovativa, poiché la festa del carnevale è sempre stata affrontata dal punto di vista dei ragazzi e dei riti che consentono loro di accedere alla virilità. opposizioni e differenze tra maschere, ruoli rituali, figure mitiche e immagini cristiane di sante e vergini che, in un sottile gioco tra carattere e persona, fanno emergere la nuova identità delle fanciulle. Una prospettiva innovativa, poiché la festa del carnevale è sempre stata affrontata dal punto di vista dei ragazzi e dei riti che consentono loro di accedere alla virilità. opposizioni e differenze tra maschere, ruoli rituali, figure mitiche e immagini cristiane di sante e vergini che, in un sottile gioco tra carattere e persona, fanno emergere la nuova identità delle fanciulle. Una prospettiva innovativa, poiché la festa del carnevale è sempre stata affrontata dal punto di vista dei ragazzi e dei riti che consentono loro di accedere alla virilità. Per chi fosse interessato CLICCHI QUI