ROSAJANSKI DOLUNO - Dulïna se nalaža tu-w Reġuni Friuli-Venezia Giulia. Göra Ćanïnawa na dilä di mërä ta-mi to Laško anu to Buško nazijun.


IL SITO DEDICATO A TUTTO IL POPOLO RESIANO CHE TENACEMENTE CONTINUA A DIFENDERE LINGUA,CULTURA E TRADIZIONE


Il Popolo Resiano, lotta contro l'imposizione all'appartenenza alla Minoranza Nazionale Slovena
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mercoledì 6 dicembre 2023

Val Resia : GIOVANNI CLEMENTE “TOMAŽIĆ Classe 1886

Un po' di storia resiana GIOVANNI CLEMENTE “TOMAŽIĆ

Giovanni Clemente Tomažić nasce a Resia nel 1886 in una famiglia numerosa che comprendeva le due nonne Anna e Maria, dalla moglie Santina dai fratelli Eugenio e Pietro da uno zio Renato, dai figli Giovanni e Bruno e dalle sorelle Clelia e Maria.

Quando era ancora un ragazzino, non ebbe molto tempo per dedicarsi ai giochi con i coetanei. Fin da piccolo il padre lo portò a lavorate in Austria presso il suo negozio di commerciante di frutta e verdura.

Frequentò le scuole del luogo dove imparò perfettamente la lingua scritta e parlata che, in seguito, gli fu molto utile.

Foto Scattata nel 1914 a Salisburgo

Foto sopra: Alpini Resiani guerra 1915-1918

A 29 anni fu chiamato militare nel 1915, col grado di sott'ufficiale degli Alpini. Dopo essere stato arruolato, fu mandato nella valle di Dogna con puntate anche sul Canin a salvaguardare i confini come guardia di frontiera. Si racconta che nel 1916 a Sella Somdogna nella notte di Natale le schermaglie da parte delle truppe italiane e da quelle austriache cessarono di combattere e, riuniti insieme attorno al fuoco, si scambiarono i doni. Scarseggiavano i viveri e bevande alcoliche dalla parte austriaca scambiate con tabacco da pipa e toscani che i nostri non avevano. Comandante di reparto in quel luogo era Giovanni Clemente che assecondò l'incontro.

martedì 8 agosto 2023

Chiesa di Coritis 1993 - 2023

30 anni dalla posa della prima Pietra PER NON DIMENTICARE
1885 ‐ 1892 (costruzione intero bene) Non ci è dato sapere se a Coritis esistesse una chiesetta prima dell'8 marzo 1885 ma si presume che almeno una cappella devozionale fosse presente sul territorio. La richiesta era stata fatta dal titolare della Pieve don Rucchini al vescovo di Udine nella quale chiedeva l'autorizzazione a erigere un Oratorio e anche l'invio di uno incaricato alla benedizione della prima pietra. La risposta era stata immediata e il 15 maggio dello stesso anno viene benedetta la prima pietra dell'Oratorio sotto il titolo di Madonna della Neve. Nulla si sa più fino a quando il 1° di agosto del 1888 il parroco Rucchini annota che: "a Coritis è in fabbrica un Oratorio e il di cui titolare non si conosce". Undici anni dopo, il 18 agosto 1899, lo stesso Rucchini scrive che "a Coritis vi è una chiesa eretta nell'anno 1889 ed ha un'altare sotto il titolo di S. Anna". Un documento del 5 luglio 1892 conferma che l'Abate di Moggio mons. Zucchiatti ha benedetto la chiesa il 2 di luglio. 1961 ‐ 1961 (dedicazione intero bene) I titolari di questa chiesa nel tempo sono diventati i Santi Simone, Giuda e Anna. Nel 1961 diventa parrocchia a sé stante e il 1° maggio del 1966 viene unita con quella di Oseacco. 1976 ‐ 1976 (distruzione intero bene) Il sisma del 15 settembre 1976 l'ha gravemente danneggiata e in seguito demolita. 1990 ‐ 1991 (riedificazione intero edificio) Nel 1990 si costituiva un Comitato per la sua ricostruzione con a capo il fabbriciere Fabrizio Di Lenardo; la chiesa con il campanile fu completata e benedetta domenica 4 agosto 1997 da mons Lorenzo Caucig delegato dall'arcivescovo Alfredo Battisti.

lunedì 9 gennaio 2023

DNA E I RESIANI

Articolo di Franco Tosoni
Premetto che:
“”” Cosa è la scienza? Tra i modi di pensare alla realtà naturale, pensiero incluso, ce n’è uno che comunemente è chiamato scientifico che gode di una certa reputazione perché è costruito con regole che cercano di garantirne l’affidabilità. È proprio questa reputazione a produrne la differenza, spesso contestata, dagli altri modi di pensare: perché si confonde l’elevata plausibilità di ciò che la scienza afferma con l’idea che quelle affermazioni siano vere in assoluto. Questa pretesa di verità, mai reclamata dai veri scienziati, viene ingiustamente tacciata di arroganza e usata, paradossalmente, per difendere la gratuità di altri modi di pensare, dichiarati veritieri per ragioni che trascendono la realtà stessa.”””
Dopo l’introduzione, ripropongo questo video, non per il motivo che era stato presentato a suo tempo, ma per puntualizzare alcuni aspetti, non marginali, ma che hanno avuto una parvenza molto marcata, esemplare e significativa. Infatti, volutamente e con una maliziosa programmazione, semplice ma mirata a rimarcare che, non a caso, la presentazione e la puntualizzazione dell’evento sia stata presentata proprio a Stolvizza, paese in cui esiste una dichiarata “minoranza slovena”, invenzione astratta e immaginaria. Hanno confutato i nostri adiacenti per il risultato che i ricercatori del Servizio di Genetica Medica del IRCCS Burlo Garofalo di Trieste che, dopo due anni di lavoro, hanno relazionato su quanto era emerso da tale ricerca, denominato: “Parco genetico del Friuli Venezia Giulia”. Da tale relazione era spuntata la prova che i Resiani risultano essere un’etnia unica in Europa (forse nel mondo?), in cui si afferma, di fatto, che i Resiani non hanno alcun vincolo genetico (manco po' ca..o), tradotto, “neanche per sogno” o una derivazione congiunta con gli Sloveni, tanto meno come la ipotetica assonanza con la lingua, la nostra primitiva e originaria, la loro “adolescente”, originata e dialettale. L’allora sindaco, Sergio Chinese, se ce ne fosse ancora bisogno da sottolineare, aveva pensato bene, quindi, ad invitare ed incontrare i ricercatori proprio a Stolvizza, per ribadire, con questo suo incontro, quanto è sbagliato dichiararsi “minoranza”, senza avere una base scientifica sulla “Genetica” e senza avere la certezza sulla nostra provenienza dichiarando, IO SONO, a dimostrazione di una dottrina erronea e infondata.

martedì 31 agosto 2021

Deborah Puccio e la Val Resia

Come sei diventata e diventi donna nelle società montane del sud Europa? Nella vallata alpina di Resia, abitata da una minoranza slava, fu sotto la copertura del "sporco" babac o adornata della scintillante maskira che la giovane donna iniziò un viaggio rituale che la portò alle nozze.
Nella valle pirenaica di Bielsa, ancora oggi, è intorno alla abbagliante madama che la fanciulla tesse il suo destino. Non lontano da lì, nella piccola valle di Gistain, le lavorazioni tessili, la trasmissione dei beni tra donne di diverse generazioni, i giochi di velare e svelare, di essere e di apparire iniziati al carnevale continuano nelle feste di mezza estate e nei festeggiamenti celebrati in onore del santo patrono. Tramite la studio comparativo dei carnevali e delle feste attraverso cui si sviluppa la femminilità, Deborah Puccio mette in luce la continuità tra riti secolari e celebrazioni religiose analizzando il sistema di omologie, contrapposizioni e differenze tra maschere, ruoli rituali, figure mitiche e immagini cristiane di santi e vergini che, in un sottile gioco tra carattere e persona, far emergere la nuova identità delle giovani ragazze. Una prospettiva innovativa, poiché la festa del carnevale è sempre stata affrontata dal punto di vista dei ragazzi e dei riti che consentono loro di accedere alla virilità. opposizioni e differenze tra maschere, ruoli rituali, figure mitiche e immagini cristiane di sante e vergini che, in un sottile gioco tra carattere e persona, fanno emergere la nuova identità delle fanciulle. Una prospettiva innovativa, poiché la festa del carnevale è sempre stata affrontata dal punto di vista dei ragazzi e dei riti che consentono loro di accedere alla virilità. opposizioni e differenze tra maschere, ruoli rituali, figure mitiche e immagini cristiane di sante e vergini che, in un sottile gioco tra carattere e persona, fanno emergere la nuova identità delle fanciulle. Una prospettiva innovativa, poiché la festa del carnevale è sempre stata affrontata dal punto di vista dei ragazzi e dei riti che consentono loro di accedere alla virilità. Per chi fosse interessato CLICCHI QUI

venerdì 19 febbraio 2021

Le bugie hanno la gonna corta

Dinanzi a due foto mi sono soffermato, e ho cercato di capire se veramente sono resiane le Donne postate. A riguardo della foto della fine del 1800, non ci sono dubbi.RESIANE DOC.
Pag. 148 del libro Resia e i Resiani. Foto fine 1800, sulla scalinata della chiesa di Prato. Ma sulla seconda foto ho parecchi dubbi. Mi soffermo sui vestiti. Nel 1939 l'acquerellista Saša Šantel ha disegnato una donna in costume, direi fantasioso con Stolvizza sullo sfondo. L'assurdità è inserirlo nel libro Resia e i Resiani (pag. 154), come appartenente alla nostra tradizione. Mentre il vero costume resiano è sicuramente un altro.

lunedì 6 maggio 2019

Comune di Resia: Amministrative 2019


DA ANNI 

SU TUTTI I FRONTI
NULLA E' STATO FATTO

QUESTI SONO I RISULTATI

E' ORA DI CAMBIARE

ABBIATE CORAGGIO




Per ulteriori informazioni clicca QUI

giovedì 4 aprile 2019

ATTENZIONE ALLE SVISTE

Su ‘La Vita Cattolica – 03/04/2019’ è stato pubblicato un articoletto ‘Rozajonavi so z taa röda judi, ki se jin di “Slavo alpini”’ a firma (s.q.). In sostanza si dice che: ‘i Resiani sono della stessa stirpe degli Sloveni, chiamati Slavi alpini., che 1300 anni fa sono arrivati in queste terre e si sono fermati anche qui a Resia’.
Attenzione la storia dei secoli V-VI-VII ci racconta di invasioni e dominazioni, in particolare quella crudelissima degli Avari sugli Slavi e i territori del Norico erano un crocevia di tribù diverse, Longobardi compresi.

Dal libro ‘Gli Slavi’ di Francis Dvornik - 1974.
‘Come la Croazia Bianca, anche la Serbia Bianca sfuggì alla dominazione Avara’. ‘ I Croati insieme a un piccolo esercito di Serbi liberarono subito la Dalmazia, poi il resto dell’Illiria e finalmente il territorio compreso tra la Drava e la Sava’. ‘Gli Sloveni della Carinzia furono così liberati per merito dei Croati’. ‘Carlo Magno e suo figlio Pipino vinsero definitivamente gli Avari. Dopo molte spedizioni il colpo decisivo fu loro inferto da Pipino nel 796’.’Le tribù slave tra il Danubio e la Sava si rallegrarono di sfuggire così per sempre alla minaccia avara’. ‘I Franchi estesero così la loro dominazione sugli Slavi dell’antico Norico (oggi la Carinzia e la Stiria nelle Alpi)’. ‘Così Carlo Magno, che nel 778 aveva restaurato la supremazia franca anche nel ducato di Baviera, era il padrone di un immenso territorio comprendente le Alpi e tutta l’antica Pannonia fino al Danubio e alla Sava’. ‘Tutti i territori di recente conquista furono attribuiti alla marca del Friuli. Erigere delle ‘marche’ nei paesi conquistati a farne oasi di partenza per nuove conquiste era la politica tradizionale di Carlo Magno’.
‘L’eredità europea del Patriarcato di Aquileia’ di Ardurino Cremonesi – 1979.
Nel Concilio (796) sulle rive del Danubio il Patriarca Paolino II e l’arcivescovo Arnone discussero anche varie questioni amministrative, ma non riuscirono ad accordarsi su tutte le divergenze, tanto che diversi anni dopo si rivolsero a Carlo Magno. Egli nel 814 stabilì i confini delle due diocesi alla Drava e in quella data nacquero la diocesi metropolita di Salisburgo e quella patriarcale di Aquileia.
Dal Messaggero Veneto 30/03/2019
Era il 3 aprile 1077 quando Enrico IV affidò al Patriarca Sigeardo il titolo di ‘Comes Fori Julii, Dux et Marchio’. Quella del 3 aprile, perciò, è la festa di tutto il Friuli e non solo di quello friulanofono: riguarda tutta quella parte di Europa e del mondo, compresa tra le Alpi e l’Adriatico e la Livenza e il Timavo, che, anche dopo il 1420, per molti secoli continuò a essere chiamata “Patria”.
Se anche per un certo periodo il Friuli fece parte del Ducato di Carinzia (solo nominalmente) certamente non vi erano organizzazioni, né leggi, né assistenze e nemmeno un esercito comune. Nel 1072 il duca Kazelin lasciò i suoi beni in eredità alla futura Abbazia di Moggio, compreso il Monte Sart. Dal 744 gli Sloveni erano sotto il dominio straniero, prima sotto quello avaro, poi bavarese e poi dal 1273 al 1918 sotto quello asburgico. Gli storici tedeschi chiamano gli Sloveni ‘Slavi alpini’, ma non menzionano i Resiani: è una notizia antiscientifica affibbiarci questo titolo.

Gruppo Cultura I.T.V.R.

lunedì 4 febbraio 2019

Il ricordo dell'eccidio delle malghe di Porzus e "Il Friuli diventerà Jugoslavo"

La commemorazione del 74esimo anniversario della strage. Riccardi: "Qui passa la nostra storia, che ha un significato molto più ampio di quanto possiamo pensare"

03 febbraio 2019
"La Giunta regionale proseguirà l'attenzione e l'impegno nella valorizzazione di Porzus, anzitutto perché lo merita l'Osoppo e lo meritano Paola Del Din, Cesare Marzona, Mario Toros e tutti gli altri che hanno fatto parte delle Brigate Osoppo, e perché qui passa la nostra storia, una storia che ha un significato molto più ampio di quanto possiamo pensare". Il vicegovernatore del Friuli Venezia Giulia Riccardo Riccardi ha concluso così, con un impegno chiaro da parte dell'amministrazione regionale "a tenere d'occhio quello che accade qui intorno a Porzus, luogo dove si sono incrociate tante fratture della storia europea" il suo intervento nella parrocchiale di Canebola, momento conclusivo della commemorazione del 74mo anniversario dell'eccidio delle malghe di Porzus.
"Quello di Porzus non fu un triste episodio che si svolse tra gente incattivita dagli eventi in un angolo periferico della storia italiana e europea: fu - ha sottolineato Riccardi - un assassinio perpetrato con determinazione in un luogo cruciale dove andavano a scaricarsi le tensioni che l'Europa del Novecento stava vivendo, e che vide Bolla, Enea e i loro uomini eroici protagonisti". L'intervento del vicegovernatore ha preso avvio con l'omaggio a Marzona e Toros, che "ci hanno lasciato la scorsa primavera a poche settimane di distanza l'uno dall'altro, due personalità assai diverse ma verso cui i friulani hanno un grande debito di riconoscenza" ed è proseguito nel ricordo della visita in forma privata del Presidente della Repubblica Cossiga e di quella ufficiale e definitiva di Napolitano.
"Forse - ha osservato Riccardi - non abbiamo ancora compreso bene il significato di quel gesto: dopo decine di anni in cui si volle pervicacemente negare ciò che era avvenuto, la Repubblica in quel maggio del 2012 rese finalmente omaggio ai valorosi uomini di Bolla e Enea". Valorosi, ha aggiunto il vicepresidente, "perché potevano cavarsela e scampare in qualche modo, invece decisero di mantenere fede al loro ideale e al loro impegno".
Nel ricordare il sigillo conclusivo apposto dal presidente Napolitano su ciò che l'Osoppo prima e gli storici poi avevano sostenuto, "ovvero che gli osovani combatterono perché fosse preservata la Patria e la libertà per tutti", Riccardi ha voluto fare cenno però anche ai lunghi anni del cono d'ombra. "Ancora nel 2008 Wikipedia dedicava poche righe alla voce 'Eccidio malghe di Porzus' ed erano righe che lanciavano un messaggio inquietante: dicevano che la Brigata Osoppo aveva tenuto un atteggiamento quantomeno equivoco verso fascisti e nazisti, in pratica dicevano che l'Osoppo se l'era andata a cercare", ha ricordato il vicegovernatore aggiungendo che oggi la stessa Wikipedia dedica decine di pagine a questa pagina di storia incancellabile.
Citando i predecessori illuminati che hanno attribuito a Porzus il complesso ruolo e il profondo significato nella Storia - i presidenti della Regione come Berzanti, testimone silenzioso, o come Comelli, che negli anni '80 aveva autorizzato la Provincia ad acquisire le malghe, fino a Serracchiani, che nel 2017 decise di affidare alla Osoppo la loro gestione - Riccardi ha rinnovato l'impegno della Giunta Fedriga a continuare sulla strada della doverosa valorizzazione e della ricerca storica.
Le celebrazioni per il 74mo anniversario hanno preso avvio a Faedis con il tributo ai Caduti delle associazioni combattentistiche e dei rappresentanti delle istituzioni - tra cui il presidente del Consiglio regionale Piero Mauro Zanin che ha preso parte alla cerimonia con i consiglieri Cristiano Shaurli, Franco Iacop ed Elia Miani - a cui sono seguiti gli interventi del sindaco di Faedis Claudio Zani e del presidente dell'Associazione Partigiana Osoppo (Apo) Roberto Volpetti.
Volpetti nel suo discorso ha ricordato don Emilio De Roia, "gigante del Friuli di cui ricorre oggi il 27mo anniversario della scomparsa" e mons. Giuseppe Nogara, "l'uomo che era riuscito a parlare con tutti, che aveva salvato la vita a centinaia di persone, fra le quali anche Cesare Marzona" ma che, ha sottolineato Volpetti, è "sempre dimenticato, quando non oggetto di accuse ingiuste".
Rivolgendo a Riccardi il grazie per il sostegno che la Regione ha dato e continuerà mantenere per il Monumento nazionale di Topli Uorch, Volpetti ha ringraziato anche l'assessore regionale alla Cultura Tiziana Gibelli, "presente alla cerimonia certo per dovere istituzionale ma anche per un doveroso atto di ricordo a omaggio alla mamma Rita, partigiana osavana di Polcenigo".
A Canebola dopo la Santa messa concelebrata da don Gianni Arduini ha preso la parola a nome dell'Apo la Medaglia d'oro al valor militare Paola Del Din; al suo commosso contributo sono seguiti gli interventi del sindaco di Udine Pietro Fontanini, di Francesco Tessarolo per la Federazione dei Volontari per la libertà, dell'onorevole Roberto Novelli e infine la relazione dello storico Tommaso Piffer.




Nello stesso tempo,vi propongo questo articolo di Carioti Antonio, datato 7 febbraio 2008, e pubblicato dal "Corriere della Sera".

CORRIERE DELLA SERA
07/02/2008
Carioti Antonio

INEDITI L’ECCIDIO COMPIUTO DAI COMUNISTI ITLIANI ALLA LUCE DI NUOVI DOCUMENTI BRITANNICI

“Il Friuli diventerà jugoslavo”
Così i partigiani di Tito preannunciarono la strage di Porzûs

A Tito l’Istria e Trieste non bastavano. Gli jugoslavi intendevano annettersi anche gran parte del Friuli, ben oltre il vecchio confine italo-austriaco del 1915. Lo stesso eccidio di Porzûs, che nel febbraio 1945 (oggi è l’anniversario) vide un gruppo di partigiani comunisti italiani sopprimere alcuni resistenti della Osoppo Friuli, una formazione di antifascisti cattolici e azionisti, va inserita in questo quadro. Lo sostiene Elena Aga Rossi, autrice di vari studi sulla seconda guerra mondiale, sulla base di un documento inedito tratto dagli archivi britannici. Si tratta del riassunto di un colloquio, avvenuto il 1° gennaio 1945, tra una delegazione del Fronte di liberazione sloveno operante in Val Resia, a nord di Udine, e un esponente della VI Brigata Osoppo, il partigiano “Livio”. Fu appunto quest’ultimo che trasmise agli Alleati il resoconto della discussione: “Il suo vero nome era Romano Zoffo – riferisce al Corriere Giannino Angeli, dell’Associazione Osoppo – e sarebbe morto nei giorni della Liberazione, ucciso a tradimento dai cosacchi alleati dei tedeschi”. Colpisce subito, nel testo del documento, l’arroganza degli jugoslavi. Da una parte ammettono di non essere “visti con favore” dalla popolazione della Val Resia, in maggioranza italiana. Ma dall’altra si dicono sicuri di poter annettere la zona: “Il destino di questo territorio sarà deciso da un plebiscito che sarà tenuto in presenza delle nostre forze armate, per cui il risultato può essere considerato certo”. E aggiungono che “gli Alleati di fronte al fatto compiuto, certamente non esiteranno ad approvare la cessione della Val Resia alla Jugoslavia”. Unico ostacolo, come nel resto del Friuli orientale, sono i partigiani italiani estranei al Pci. Infatti quelli comunisti della Brigata Garibaldi “Natisone” si erano sottomessi al comando jugoslavo, che li aveva trasferiti in Slovenia. Lo stesso, secondo gli ufficiali di Tito, avrebbero dovuto fare i combattenti osovani. In caso contrario, ecco la minaccia slovena: “Non è impossibile che un giorno ci giunga l’ordine di disarmare le formazione Osoppo nei dintorni della Val Resia”. Zoffo non si lascia intimidire. Risponde che il destino della valle deve essere “deciso dalla Conferenza di pace”. E riferisce di aver informato gli sloveni “che, se avessero deciso di disarmarci, non avrei permesso loro di farlo e avrei resistito fino all’ultimo”. I presupposti per uno scontro cruento ci sono tutti: non avverrà però in Val Resia, ma più a Sud, dove il comandante degli osovani era Francesco De Gregori (zio dell’omonimo cantautore), primo obiettivo della spedizione omicida di Porzûs. Fra le vittime ci sarà anche Guido Pasolini, fratello del poeta e regista Pier Paolo. “L’eccidio di Porzûs – commenta Elena Aga Rossi – appare quindi l’epilogo di una serie di mosse attuate dalle forze di Tito per assicurarsi il controllo del Friuli orientale. Il loro progetto era fare piazza pulita di ogni presenza ostile all’annessione alla Jugoslavia, che sarebbe stata imposta alla popolazione con un plebiscito farsa, tenuto sotto la minaccia delle armi”. Che i mandanti della strage fossero gli jugoslavi era anche la tesi di Giovanni Padoan, ex partigiano comunista morto un mese fa a 98 anni, che nel 2001 fu protagonista di una cerimonia di riconciliazione con il sacerdote osovano Redento Bello. Allora Padoan ammise che complici del misfatto erano stati anche i dirigenti del Pci di Udine, che avevano dato il via libera all’esecutore diretto del massacro, Mario Toffanin, legato strettamente alle forze jugoslave. Altri elemti vengono poi da una relazione del maggiore Mcpherson, della missione militare britannica nella zona, reperita dallo studioso Tommaso Piffer: “L’ufficiale alleato – spiega – elenca una serie impressionante di azioni slovene ai danni degli osovani: sostiene che i partigiani di Tito li accusavano di essere complici dei nazisti e al tempo stesso mettevamo i tedeschi sulle loro tracce”. D’altronde tutto ciò rispondeva alle direttive impartite dal capo comunista sloveno Edvard Kardelj in una lettera del 9 settembre 1944, citato dallo storico Alberto Byvoli in un volume, uscito nel 2003, che raccoglie i documenti della Osoppo: “Non possiamo lasciare su questi territori – scriveva il leader slavo, riferendosi alla zona di operazioni dei suoi partigiani, nemmeno una unità nella quale lo spirito imperialistico italiano potrebbe essere camuffato da falsi democratici”. Più chiaro di così…