ROSAJANSKI DOLUNO - Dulïna se nalaža tu-w Reġuni Friuli-Venezia Giulia. Göra Ćanïnawa na dilä di mërä ta-mi to Laško anu to Buško nazijun.


IL SITO DEDICATO A TUTTO IL POPOLO RESIANO CHE TENACEMENTE CONTINUA A DIFENDERE LINGUA,CULTURA E TRADIZIONE


Il Popolo Resiano, lotta contro l'imposizione all'appartenenza alla Minoranza Nazionale Slovena

sabato 23 febbraio 2019

I.T.V.R Informa: Ci ha lasciato Prof. Dr. Eric P. Hamp

Il 17 febbraio 2019 a 99 anni, è volato in cielo il Prof. Dr. Eric P. Hamp. Era nato il 16 novembre 1920.

Con profonda tristezza ci uniamo, noi tutti Resiani, al dolore della famiglia per la scomparsa del carissimo prof. Eric P. Hamp.
Per i Resiani resterà sempre uno dei massimi studiosi ed estimatori della nostra lingua, a favore della quale si è adoperato in tutte le sedi più autorevoli per un riconoscimento ufficiale e la giusta collocazione nel panorama linguistico slavo.
In coloro che lo conobbero resterà il ricordo di una persona affabile, competente, cordiale e lungimirante. Con profondo dolore per la perdita del loro caro, porgiamo alla famiglia le nostre più sentite condoglianze.





Grazie a Lui, la Lingua Resiana è stata riconosciuta all'Unesco come Lingua in pericolo.



venerdì 22 febbraio 2019

Resiani e la RSI: 1943 nascita della Repubblica di Salò

Dopo la giornata del ricordo delle Foibe,mi sono messo a "navigare" tramite pc,alla volta di notizie per capire meglio quegli anni. Mi sono imbattuto in molti documenti, ma ad un certo punto un elenco di Caduti della RSI, mi ha fatto pensare e riflettere.
Nel senso,che sapevo,per sentito dire e racconti vari,di ciò che successe a Resia e non solo,a riguardo della seconda guerra mondiale,dei partigiani,dei tedeschi,dei titini ecc... 
Ma dei Resiani che aderirono alla RSI,sinceramente, non ne avevo mai sentito parlare. 

Forse, coloro che continuarono a lottare e a morire per un ideale,che tutti noi, oggi, possiamo pensare che sia stato giusto o sbagliato, debbano essere dimenticati?

Ricordando la storia, forse, possiamo capire i momenti,dei tanti soldati Italiani, tra cui alcuni Resiani, che scelsero di continuare a combattere a fianco di Mussolini,aderendo alla RSI, fino alla fine.

Infatti nella notte fra il 24 e il 25 luglio 1943 il gran consiglio fascista approva un ordine del giorno che destituisce Mussolini da ogni incarico e affida al re Vittorio Emanuele III il comando delle Forze armate. Lo stesso giorno Mussolini viene arrestato e mandato al confino prima a Ponza, poi in Sardegna alla Maddalena e infine a Campo Imperatore sul Gran Sasso.
Il maresciallo Badoglio riceve dal re tutte le cariche del duce e il 27 luglio il "Popolo d'Italia'' massimo organo di stampa fascista annuncia al paese che "La guerra continua. L'Italia mantiene fede alla parola data''.

L'8 settembre '43 il re e Badoglio annunciano l'armistizio con gli alleati anglo-americani e fuggono da Roma per Brindisi consegnando l'Italia in mano ai tedeschi che occupano militarmente il Paese e danno inizio a una serie infinita di saccheggi, distruzioni e efferati eccidi.
Il 12 settembre del '43 i paracadutisti nazisti aiutati da alcuni ufficiali fascisti dei carabinieri riescono a liberare con un blitz Mussolini.


Il 15 settembre 1943 la radio comunica che "Benito Mussolini ha ripreso oggi la suprema direzione del fascismo in Italia", mentre viene dato ordine a tutte le organizzazioni del partito di appoggiare attivamente l’esercito germanico. Tre giorni dopo in un discorso radiofonico da Monaco, lo stesso Mussolini, annunciando la rinascita di uno stato fascista, indica il compito di riprendere le armi al fianco della Germania e del Giappone.
Il 23 settembre si costituisce ufficialmente il governo della Rsi con sede nel comune di Salò (Brescia) e Mussolini, rientrato nel frattempo in Italia, si sistema alla Rocca delle Caminate, e si autoproclama capo dello Stato, del governo e duce del nuovo partito fascista repubblicano.



Alessandro Pavolini è nominato segretario del neocostituito partito fascista. Durante il suo discorso introduttivo al congresso di Verona del 14 novembre '43 rispolvera e rilancia in grande stile lo squadrismo fascista degli anni '20 e esorta i repubblichini a obbedire ai tedeschi e a non avere pietà dei partigiani. "Lo squadrismo - conclude Pavolini - è stato la primavera della nostra vita, e chi è stato squadrista una volta lo è per sempre''.
Al generale Rodolfo Graziani viene affidato il compito di riorganizzare l'esercito con armi e istruttori tedeschi.









Di seguito vi inserisco alcuni nomi di caduti della RSI, e il link,dove leggere con calma il tutto.

Madio Salvatore, Madoglio Angelo, Madoglio Mario Angelo, Madonna Francesco, Madotto Adamo, Madre Giuseppe, Madrigali Primo, Maè Armando, Maestrami Tito, Maestrelli Giuseppe

Di Lauro Francesco, Di Lauro Vincenzo Pietro, Di Lena Bruno, Di Lena Gregorio, Di Lena Longino, Di Lena Orlando, Di Lenardo Antonio, Di Lenardo Antonio, Di Lenardo Giovanni Battista, Di Leo Alessandro, Di Leo Armando, Di Leo Giovanni, Di Leo Giuseppe, Di Leo Nicandro

Buttignol Luigi, Buttini Remigio, Buttironi Antonio, Buttolo Ernesto, Buttolo Stefano, Butturini Gino Giuseppe, Buvoli Alessandro, Buy Ugo, Buzio Sergio,Buziol Umberto,

ecc....

mercoledì 20 febbraio 2019

Foibe, la bufera non si placa e Tajani andrà a San Sabba

Un invito via Twitter rivolto al presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, dalla commissaria europea ai Trasporti, Violeta Bulc, a visitare insieme a lei l'ex campo di concentramento alla Risiera di San Sabba a Trieste. Invito accettato. È questa l'evoluzione della rovente polemica esplosa in seguito alle dichiarazioni di Tajani che domenica, a Basovizza, durante le celebrazioni della Giornata del Ricordo, aveva esaltato «l'Istria italiana» e «la Dalmazia italiana».

Istria e Dalmazia: se i Politicanti attuali Nazionalisti Sloveni studiassero.......

La storia dell’Istria e della Dalmazia è una storia che parla di Roma e di Venezia. Fu Giulio Cesare a fondare, dopo Trieste (Tergeste) , le colonie di Pola (Pietas Julia) e Parenzo (Julia Parentium); fu Augusto a portare i confini dell’Istria fino al Quarnaro e a creare le Decima Regio Venetia et Histria, che si espandevano dall’Oglio all’Arsa e dalle Alpi al Po. Trieste fu collegata a Pola attraverso la via Flavia che raggiungeva poi Fiume (Tarsatica). Un’iscrizione d’epoca augustea reperita nei pressi di Fiume dice “Haec est Italia Diis sacra”. Roma lasciò splendide testimonianze nel colle Capitolino e nel teatro di Trieste, nell’Arena di Pola, nell’arco di Fiume, nel Foro di Zara e nel palazzo di Diocleziano di Spalato. Nel VI secolo d.C. le orde barbariche arrivarono anche nella X Regio romana. Gli istriani si rifugiarono sulle isole della costa. Sorsero Isola, Capodistria, Pirano, Rovigno che furono collegate alla costa con ponti e istmi.

Il dominio del doge di Venezia

Della prima presenza slava vi è traccia nel famoso Placitum del Risano dell’804, in cui i rappresentanti delle città istriane chiedono ai messi di Carlo Magno di liberarli dalla pirateria dei paganos slavos, “sin autem melius est mori quam vivere”. Dall’800 iniziò l’espansione veneziana, prima contrastata anche dai feudi germanici e dal patriarcato di Aquileia; poi Venezia si affermò in tutta la costa adriatica: nel 1150 il Doge assumeva il titolo di Totius Istriae inclitus dominator. Il leone alato di San Marco, simbolo della Serenissima, da allora si troverà ovunque, dall’isola di Veglia dove comparve per la prima volta nel 1250, a tutte le città istriane e dalmate. Tra il 1400 e il 1600 più volte la peste si abbattè sulll’Istria e sulla Dalmazia. Venezia ripopolò la regione importandovi migliaia di slavi, bosniaci, morlacchi, che ne divennero valorosi soldati. La città di Venezia non a caso battezzò “Riva degli Schiavoni” il suo attracco più importante nel bacino di San Marco. Le vicende istriane sono numerose e complesse ma, sostanzialmente da allora e fino alla fine del XVIII secolo la storia dell’Istria si identificò con quella di Venezia. Ecco per quale motivo la regione fu poi definita Venezia Giulia dal glottologo Graziadio Ascoli. Il dominio di Venezia ebbe fine nel 1797 con il trattato di Campoformido. La regione passò nelle mani dell’Austria che regnò, salvo la parentesi francese del Regno Napoleonico d’Italia, fino al 1918. La vittoria della Grande Guerra, cui parteciparono da volontari migliaia di istriani e dalmati – e tra questi Sauro, Filzi, Rismondo – portò e far parte del Regno d’Italia non solo Trento e Trieste, ma tutta la Venezia Giulia e dunque l’Istria con Pola, la città di Zara in Dalmazia, le isole di Cherso e Lussino, Lagosta e Pelagosa. Fiume fu annessa nel 1924, dopo essere stata teatro dell’impresa dannunziana del 12 settembre 1919. Il sogno italico della Venezia Giulia durò poco più di vent’anni . Il diktat di pace del 10 febbraio 1947 imposto al termine della seconda guerra mondiale dalle potenze vincitrici, strappò l’Istria, Fiume e Zara e le isole all’Italia, consegnandole alla Jugoslavia di Tito.

L’ignobile Trattato di Osimo

La città di Trieste (zona A del Territorio Libero Trieste previsto dal trattato di pace) rimase sotto amministrazione angloamericana fino al 26 ottobre 1954 quando tornò ad essere finalmente libera e italiana. La zona B (la parte nord occidentale dell’Istria fino al fiume Quieto) rimase sotto amministrazione provvisoria jugoslavia fino all’ignobile Trattato di Osimo (10 novembre 1975) con il quale l’Italia rinunciò senza contropartite al suo diritto su quei territori. Con la disgregazione della Jugoslavia e la nascita dei due nuovi Stati sovrani (1992) l’Istria fu divisa in due: la parte settentrionale fino al fiume Dragogna entrò a far parte della Slovenia, mentre la parte a sud del Istria, il Quarnaro, la Dalmazia divennero Croazia. Nessuno dei due Stati ha ritenuto di restituire agli esuli italiani neppure un mattone delle proprietà confiscate dal precedente regime comunista jugoslavo. Il martirio delle foibe di Trieste e dell’Istria, con il loro tragico carico di migliaia di morti senza croce e l’esodo dei 350.000 istriani, fiumani e dalmati è ora patrimonio della coscienza comune degli italiani grazie alla legge sul Giorno del Ricordo che si celebra il 10 febbraio di ogni anno.

Foibe, lettera di protesta della Slovenia. La Croazia contro Tajani

11 febbraio 2019:
Lubiana scrive a Mattarella: "Da Roma inaccettabili dichiarazioni". Ira di Zagabria su "Istria e Dalmazia italiana", il presidente del Parlamento europeo: "Io mal interpretato"

Ancora tensione sulle foibe. Il presidente della Slovenia, Borut Pahor, ha scritto una lettera al capo dello Stato Sergio Mattarella esprimendo preoccupazione per "alcune inaccettabili dichiarazioni di alti rappresentanti della Repubblica Italiana in occasione della Giornata del ricordo che danno l'impressione che gli eventi legati alle foibe siano stati una forma di pulizia etnica". 
L'agenzia croata Hina lega la protesta di Pahor anche alle dichiarazioni del vicepremier Matteo Salvini che, ieri, ha dichiarato che "i bimbi morti nelle foibe e i bimbi di Auschwitz sono uguali".

sabato 9 febbraio 2019

10 febbraio 2019: FOIBE - PER NON DIMENTICARE


Cenni storici:

Istria, Fiume e Dalmazia nei trattati internazionali
dell'avv. Vittorio Giorgi, in occasione del Giorno del Ricordo 2008

Il tema della lotta antifascista, che è stato il fondamento della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia (nata con la violenza e col sangue nel 1945 e morta nella violenza e nel sangue nel 1991), viene talvolta utilizzato da molti, croati e negazionisti vari, per giustificare cose ingiustificabili come la pulizia etnica ai danni degli italiani o per delegittimare legittimi trattati internazionali come quello di Rapallo del 1920 e quello di Roma del 1924. Perfino una parte della stampa e dell'opinione pubblica croata condivide questa riflessione. La lotta combattuta dai partigiani croati contro i fascisti italiani e croati, tra il 1941 e il 1945, non può avere effetto retroattivo. Bisogna fare una precisa distinzione spazio-temporale perchè l'annessione dell'Istria, della città di Fiume e della Dalmazia a favore dell'Italia è maturata in tre diversi contesti storici e politici.

ISTRIA. Terminata la Prima Guerra Mondiale, il Regno d'Italia e il neocostituito Regno dei Serbi, Croati e Sloveni  (dal 1929 Regno di Jugoslavia) il 12 novembre 1920 firmarono il     "TRATTATO DI RAPALLO" per spartirsi alcuni territori del defunto Impero d'Austria-Ungheria. All'Italia andò l'Istria, la città dalmata di Zara e le isole di Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa; al regno degli slavi la Dalmazia. Il trattato rispettò solo in parte le promesse fatte all'Italia nel 1915, col Patto di Londra, da Francia e Inghilterra. Non bisogna essere esperti di storia per sapere che in quel momento, l'Italia e gli Italiani non erano "fascisti". Il movimento dei "Fasci di combattimento" venne fondato da Benito Mussolini a Milano nel marzo 1919 con 800 iscritti. Nel novembre dello stesso anno, alle elezioni per il rinnovo della Camera vinse il Partito Socialista con il 30% dei voti, seguito dal Partito Popolare col 20%. I fascisti non conquistarono nemmeno un seggio! In questo contesto politico si colloca il Trattato di Rapallo. Nel maggio 1921 si andò di nuovo alle elezioni: i fascisti presero 35 seggi (tra i quali quello di Mussolini) contro i 159 dei liberaldemocratici, i 107 dei popolari e i 122 dei socialisti. Il movimento di Mussolini  nel novembre successivo si trasformò nel "Partito Nazionale Fascista", forte di 249.000 iscritti. L'Italia inizierà a diventare "fascista" all'indomani della famosa "marcia su Roma" del 28 ottobre 1922, quando il re Vittorio Emanuele III affidò a Mussolini l'incarico di formare il nuovo governo. Così cominciò il "ventennio". Ma siamo, giova ripeterlo, nel 1922  non nel 1920.

martedì 5 febbraio 2019

Foibe: Film “Rosso Istria”: prima serata su Rai 3 - 8 febbraio ore 21:20

“Red Land – Rosso Istria” il film (vedi articolo precedente) che racconta la tragica vicenda di Norma Cossetto  sarà proiettato in prima serata su Rai Tre.
Il film andrà in onda nell’ambito delle commemorazioni del Giorno del Ricordo (il 10 febbraio) per i martiri delle foibe, ovvero l’8 febbraio.
Questo è un evento che non ha precedenti: ricordiamo che la pellicola diretta da Maximiliano Hernando Bruno, presentato alla Mostra del cinema di Venezia, è stata protagonista di diversi episodi che ne hanno osteggiato la distribuzione o anche solo la proiezione.




La deputata di FdI Paola Frassinetti e il collega Federico Mollicone hanno  presentato un’interrogazione parlamentare proprio al fine di conoscere i palinsesti della Rai, di sapere dunque come la televisione nazionale avrebbe ricordato i martiri delle foibe in occasione del giorno a loro dedicato. E la risposta della Rai è stata innegabilmente positiva: vi sarà, infatti, “un’ampia copertura informativa e una programmazione dedicata di film, documentari, et cetera”.

Paola Frassinetti ha parlato di “obiettivo raggiunto” e ha aggiunto: “Ovviamente siamo soddisfatti, la riteniamo una svolta. Attraverso la vicenda di Norma Cossetto questo film rende benissimo l’idea della persecuzione contro gli italiani attuata dai partigiani comunisti di Tito”.

E la parlamentare di Fratelli d’Italia conclude dando l’annuncio di una nuova iniziativa, che questa volta riguarderà le scuole in cui si chiede che venga proiettato il film: “C’è una mozione già sottoscritta da Lega e Forza Italia, che spero venga votata all’unanimità”.
Ma la Frassinetti specifica anche che per parlare di foibe agli studenti dovrebbero essere chiamati i discendenti dei reduci dell’esodo istriano o esperti della materia storia “non l’Anpi o altri soggetti che tendono a sminuire o fare revisionismo, perché altrimenti si svilisce il Giorno del ricordo e si fanno cento passi indietro”.

Tratto dall'articolo del 19 gennaio 2019 del sito "Il Primato Nazionale"

lunedì 4 febbraio 2019

Il ricordo dell'eccidio delle malghe di Porzus e "Il Friuli diventerà Jugoslavo"

La commemorazione del 74esimo anniversario della strage. Riccardi: "Qui passa la nostra storia, che ha un significato molto più ampio di quanto possiamo pensare"

03 febbraio 2019
"La Giunta regionale proseguirà l'attenzione e l'impegno nella valorizzazione di Porzus, anzitutto perché lo merita l'Osoppo e lo meritano Paola Del Din, Cesare Marzona, Mario Toros e tutti gli altri che hanno fatto parte delle Brigate Osoppo, e perché qui passa la nostra storia, una storia che ha un significato molto più ampio di quanto possiamo pensare". Il vicegovernatore del Friuli Venezia Giulia Riccardo Riccardi ha concluso così, con un impegno chiaro da parte dell'amministrazione regionale "a tenere d'occhio quello che accade qui intorno a Porzus, luogo dove si sono incrociate tante fratture della storia europea" il suo intervento nella parrocchiale di Canebola, momento conclusivo della commemorazione del 74mo anniversario dell'eccidio delle malghe di Porzus.
"Quello di Porzus non fu un triste episodio che si svolse tra gente incattivita dagli eventi in un angolo periferico della storia italiana e europea: fu - ha sottolineato Riccardi - un assassinio perpetrato con determinazione in un luogo cruciale dove andavano a scaricarsi le tensioni che l'Europa del Novecento stava vivendo, e che vide Bolla, Enea e i loro uomini eroici protagonisti". L'intervento del vicegovernatore ha preso avvio con l'omaggio a Marzona e Toros, che "ci hanno lasciato la scorsa primavera a poche settimane di distanza l'uno dall'altro, due personalità assai diverse ma verso cui i friulani hanno un grande debito di riconoscenza" ed è proseguito nel ricordo della visita in forma privata del Presidente della Repubblica Cossiga e di quella ufficiale e definitiva di Napolitano.
"Forse - ha osservato Riccardi - non abbiamo ancora compreso bene il significato di quel gesto: dopo decine di anni in cui si volle pervicacemente negare ciò che era avvenuto, la Repubblica in quel maggio del 2012 rese finalmente omaggio ai valorosi uomini di Bolla e Enea". Valorosi, ha aggiunto il vicepresidente, "perché potevano cavarsela e scampare in qualche modo, invece decisero di mantenere fede al loro ideale e al loro impegno".
Nel ricordare il sigillo conclusivo apposto dal presidente Napolitano su ciò che l'Osoppo prima e gli storici poi avevano sostenuto, "ovvero che gli osovani combatterono perché fosse preservata la Patria e la libertà per tutti", Riccardi ha voluto fare cenno però anche ai lunghi anni del cono d'ombra. "Ancora nel 2008 Wikipedia dedicava poche righe alla voce 'Eccidio malghe di Porzus' ed erano righe che lanciavano un messaggio inquietante: dicevano che la Brigata Osoppo aveva tenuto un atteggiamento quantomeno equivoco verso fascisti e nazisti, in pratica dicevano che l'Osoppo se l'era andata a cercare", ha ricordato il vicegovernatore aggiungendo che oggi la stessa Wikipedia dedica decine di pagine a questa pagina di storia incancellabile.
Citando i predecessori illuminati che hanno attribuito a Porzus il complesso ruolo e il profondo significato nella Storia - i presidenti della Regione come Berzanti, testimone silenzioso, o come Comelli, che negli anni '80 aveva autorizzato la Provincia ad acquisire le malghe, fino a Serracchiani, che nel 2017 decise di affidare alla Osoppo la loro gestione - Riccardi ha rinnovato l'impegno della Giunta Fedriga a continuare sulla strada della doverosa valorizzazione e della ricerca storica.
Le celebrazioni per il 74mo anniversario hanno preso avvio a Faedis con il tributo ai Caduti delle associazioni combattentistiche e dei rappresentanti delle istituzioni - tra cui il presidente del Consiglio regionale Piero Mauro Zanin che ha preso parte alla cerimonia con i consiglieri Cristiano Shaurli, Franco Iacop ed Elia Miani - a cui sono seguiti gli interventi del sindaco di Faedis Claudio Zani e del presidente dell'Associazione Partigiana Osoppo (Apo) Roberto Volpetti.
Volpetti nel suo discorso ha ricordato don Emilio De Roia, "gigante del Friuli di cui ricorre oggi il 27mo anniversario della scomparsa" e mons. Giuseppe Nogara, "l'uomo che era riuscito a parlare con tutti, che aveva salvato la vita a centinaia di persone, fra le quali anche Cesare Marzona" ma che, ha sottolineato Volpetti, è "sempre dimenticato, quando non oggetto di accuse ingiuste".
Rivolgendo a Riccardi il grazie per il sostegno che la Regione ha dato e continuerà mantenere per il Monumento nazionale di Topli Uorch, Volpetti ha ringraziato anche l'assessore regionale alla Cultura Tiziana Gibelli, "presente alla cerimonia certo per dovere istituzionale ma anche per un doveroso atto di ricordo a omaggio alla mamma Rita, partigiana osavana di Polcenigo".
A Canebola dopo la Santa messa concelebrata da don Gianni Arduini ha preso la parola a nome dell'Apo la Medaglia d'oro al valor militare Paola Del Din; al suo commosso contributo sono seguiti gli interventi del sindaco di Udine Pietro Fontanini, di Francesco Tessarolo per la Federazione dei Volontari per la libertà, dell'onorevole Roberto Novelli e infine la relazione dello storico Tommaso Piffer.




Nello stesso tempo,vi propongo questo articolo di Carioti Antonio, datato 7 febbraio 2008, e pubblicato dal "Corriere della Sera".

CORRIERE DELLA SERA
07/02/2008
Carioti Antonio

INEDITI L’ECCIDIO COMPIUTO DAI COMUNISTI ITLIANI ALLA LUCE DI NUOVI DOCUMENTI BRITANNICI

“Il Friuli diventerà jugoslavo”
Così i partigiani di Tito preannunciarono la strage di Porzûs

A Tito l’Istria e Trieste non bastavano. Gli jugoslavi intendevano annettersi anche gran parte del Friuli, ben oltre il vecchio confine italo-austriaco del 1915. Lo stesso eccidio di Porzûs, che nel febbraio 1945 (oggi è l’anniversario) vide un gruppo di partigiani comunisti italiani sopprimere alcuni resistenti della Osoppo Friuli, una formazione di antifascisti cattolici e azionisti, va inserita in questo quadro. Lo sostiene Elena Aga Rossi, autrice di vari studi sulla seconda guerra mondiale, sulla base di un documento inedito tratto dagli archivi britannici. Si tratta del riassunto di un colloquio, avvenuto il 1° gennaio 1945, tra una delegazione del Fronte di liberazione sloveno operante in Val Resia, a nord di Udine, e un esponente della VI Brigata Osoppo, il partigiano “Livio”. Fu appunto quest’ultimo che trasmise agli Alleati il resoconto della discussione: “Il suo vero nome era Romano Zoffo – riferisce al Corriere Giannino Angeli, dell’Associazione Osoppo – e sarebbe morto nei giorni della Liberazione, ucciso a tradimento dai cosacchi alleati dei tedeschi”. Colpisce subito, nel testo del documento, l’arroganza degli jugoslavi. Da una parte ammettono di non essere “visti con favore” dalla popolazione della Val Resia, in maggioranza italiana. Ma dall’altra si dicono sicuri di poter annettere la zona: “Il destino di questo territorio sarà deciso da un plebiscito che sarà tenuto in presenza delle nostre forze armate, per cui il risultato può essere considerato certo”. E aggiungono che “gli Alleati di fronte al fatto compiuto, certamente non esiteranno ad approvare la cessione della Val Resia alla Jugoslavia”. Unico ostacolo, come nel resto del Friuli orientale, sono i partigiani italiani estranei al Pci. Infatti quelli comunisti della Brigata Garibaldi “Natisone” si erano sottomessi al comando jugoslavo, che li aveva trasferiti in Slovenia. Lo stesso, secondo gli ufficiali di Tito, avrebbero dovuto fare i combattenti osovani. In caso contrario, ecco la minaccia slovena: “Non è impossibile che un giorno ci giunga l’ordine di disarmare le formazione Osoppo nei dintorni della Val Resia”. Zoffo non si lascia intimidire. Risponde che il destino della valle deve essere “deciso dalla Conferenza di pace”. E riferisce di aver informato gli sloveni “che, se avessero deciso di disarmarci, non avrei permesso loro di farlo e avrei resistito fino all’ultimo”. I presupposti per uno scontro cruento ci sono tutti: non avverrà però in Val Resia, ma più a Sud, dove il comandante degli osovani era Francesco De Gregori (zio dell’omonimo cantautore), primo obiettivo della spedizione omicida di Porzûs. Fra le vittime ci sarà anche Guido Pasolini, fratello del poeta e regista Pier Paolo. “L’eccidio di Porzûs – commenta Elena Aga Rossi – appare quindi l’epilogo di una serie di mosse attuate dalle forze di Tito per assicurarsi il controllo del Friuli orientale. Il loro progetto era fare piazza pulita di ogni presenza ostile all’annessione alla Jugoslavia, che sarebbe stata imposta alla popolazione con un plebiscito farsa, tenuto sotto la minaccia delle armi”. Che i mandanti della strage fossero gli jugoslavi era anche la tesi di Giovanni Padoan, ex partigiano comunista morto un mese fa a 98 anni, che nel 2001 fu protagonista di una cerimonia di riconciliazione con il sacerdote osovano Redento Bello. Allora Padoan ammise che complici del misfatto erano stati anche i dirigenti del Pci di Udine, che avevano dato il via libera all’esecutore diretto del massacro, Mario Toffanin, legato strettamente alle forze jugoslave. Altri elemti vengono poi da una relazione del maggiore Mcpherson, della missione militare britannica nella zona, reperita dallo studioso Tommaso Piffer: “L’ufficiale alleato – spiega – elenca una serie impressionante di azioni slovene ai danni degli osovani: sostiene che i partigiani di Tito li accusavano di essere complici dei nazisti e al tempo stesso mettevamo i tedeschi sulle loro tracce”. D’altronde tutto ciò rispondeva alle direttive impartite dal capo comunista sloveno Edvard Kardelj in una lettera del 9 settembre 1944, citato dallo storico Alberto Byvoli in un volume, uscito nel 2003, che raccoglie i documenti della Osoppo: “Non possiamo lasciare su questi territori – scriveva il leader slavo, riferendosi alla zona di operazioni dei suoi partigiani, nemmeno una unità nella quale lo spirito imperialistico italiano potrebbe essere camuffato da falsi democratici”. Più chiaro di così…

sabato 2 febbraio 2019

PRE MENI SIMBOLO DEL FRIULI

Lettera di Lidio Buttolo a “Noterelle del nostro tempo” di Sergio Gervasutti

Mi pare di averla intravista, egregio dottor Gervasutti, il giorno sabato 12 gennaio a Majano in occasione della cerimonia per l’intitolazione della biblioteca comunale a pre Meni Zannier (mio fraterno amico nonché coetaneo); una cerimonia più che dovuta e molto partecipata, giustamente meritata da quello che è stato il più grande poeta friulano.
Lei ha anche partecipato anni fa (io c’ero con pre Meni) a una cerimonia nell’alto Cividalese, vicino alla casa di Mario Ruttar, per lo scoprimento di una significativa icona.
Queste premesse sono per evidenziare come pre Meni, parroco di Lusevera dal 1960 al 1972, sia stato tanto benvoluto nella mia natia Alta Val Torre; ha imparato subito il nostro peculiare dialetto “po-nasin” e l’ha difeso strenuamente (conosceva bene lo sloveno) anche sulla stampa contro chi voleva slovenizzarci e affibbiarci la nomea come gente della minoranza slovena.
Noi friulani dell’alto Torre con pre Meni abbiamo perso oltre che un friulanista di immensa caratura, uno strenuo difensore della peculiarità dialettale locale nemmeno minimamente assimilabile alla realtà slovena.
Le sarò grato, dottor Gervasutti, se vorrà pubblicare questa mia lettera che vuole essere ancora una strenua difesa, come appunto sosteneva il compianto pre Meni, dell’italianità totale e integrale della gente del comune di Lusevera, che qualcuno si ostina ancora a classificare di minoranza slovena.

Risposta del dott. Sergio Gervasutti

Tra gli amici lo chiamavano “Zizanie”, cordiale richiamo al cognome e al modo di vivere e di leggere gli avvenimenti in cui affondava la sua sensibilità. Domenico Zannier era l’immagine tipica del personaggio friulano, tanta sostanza, nessuna spavalderia: era stato preso in considerazione per ottenere il premio Nobel, ma la notizia non aveva suscitato il clamore che avrebbe meritato e credo che sia sfumata nel silenzio. Considero un privilegio scrivere di lui in questa breve rubrica e ringrazio il cavalier Lidio Buttolo per avermene data l’occasione.
Naturalmente chiedo venia per non dilungarmi opportunamente nel ricordare cosa abbia significato la presenza di don Zannier nella nostra terra: insegnante, sacerdote, scrittore, poeta, giornalista è stato fautore di straordinarie iniziative tra le quali “Scuele libare furlane”, un’istituzione che ha contribuito a nobilitare il friulano (l’uomo e la lingua) di cui era straordinario cantore.

Tratto dal Messaggero Veneto del 2 febbraio 2019