Anche quest’anno ci ritroviamo qui per commemorare i defunti civili e militari di tutte le guerre.
Guerre combattute anche tra i nostri monti; battaglie che hanno colpito duramente la nostra popolazione friulana, in questo periodo storico composta principalmente da donne, bambini e anziani che durante il corso della prima guerra mondiale ad un certo momento furono costretti ad abbandonare le loro case per rifugiarsi in località più sicure nel resto della nostra penisola, non tutti però fecero poi ritorno alle loro case.
Questa parte di popolazione fuggiva senza l’aiuto degli uomini perché i mariti e i figli erano impegnati sul fronte a combattere una delle tante inutili guerre volute perlopiù dall’ambizione dei loro governanti e dall’ignoranza dei loro graduati.
Le donne ora devono procurare il necessario per il sostentamento delle loro famiglie.
Meritano una nota particolare le “Portatrici Carniche” vere eroine della prima guerra ,orgoglio per gli abitanti di queste zone, purtroppo troppo spesso dimenticate dalla storia. La loro storia inizia tra l’agosto del 1915 e l’ottobre del 1917 quando il fronte della Prima Guerra Mondiale correva dalle sorgenti del Piave a quelle del Natisone; donne che portavano il loro contributo a i vari reggimenti. Sono loro infatti che percorrevano anche più di 1000 metri di dislivello scalando i nostri monti portando sulle spalle gerle di 30–40 kg; donne che avevano ereditato dal loro passato la fatica.
Abituate da secoli all’estrema povertà di queste zone, a portare sulle loro spalle la "gerla" di casa che rappresenta da sempre il simbolo della donna carnica , ora in questo contesto storico la gerla viene messa al servizio del Paese in guerra, non più quindi caricata di granturco, fieno, legna, patate e tutto ciò che poteva servire alla casa e alla stalla, bensì carica di granate, cartucce, viveri e ogni altro materiale che serviva ai nostri soldati per la loro sopravvivenza.
Ogni viaggio veniva loro pagato una lira e cinquanta centesimi, oggi pari a tre euro e cinquanta centesimi .
La loro età variava dai 15 ai 60 anni. Non vestivano una divisa, il loro equipaggiamento era scarno, costituito da cose semplici, quanto fondamentali; oltre la gerla indossavano un braccialetto rosso recante il numero dell’unità militare d’assegnazione e un taccuino su cui venivano annotati i materiali trasportati e i viaggi giornalieri. Il loro motto era “Anin, senò chei biadaz a murin ancje di fan” (Andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame). Chissà quante delle nostre bisnonne della nostra amata Valle portavano soccorso nelle trincee costruite nel nostro territorio resiano e delle quali non ne conosciamo i nomi ma, a loro va la nostra riconoscenza.