I resiani ci sentono molto bene e non sono mai depressi. Lo studio sull’unicità genetica di Resia non ha portato solo a risultati che indicano la propensione all’ipertensione o alla cardiovascolarità, ma ha anche evidenziato che i resiani stanno meglio di altri. A dimostrazione che l’aria di montagna fa bene, anche se vive un po’ più isolati. Continua il progetto Parco genetico del Friuli Venezia Giulia. Il 7 luglio sarà un altra giornata dedicata alla ricerca per i resiani. Il team scientifico del Cbm torna a Resia per raccogliere una serie di dati che segneranno l’inizio del terzo anno di lavoro. Ieri la presentazione ufficiale in via Sabbadini, nella sede della Regione, che ha contribuito alla ricerca, che ha fatto emergere l’unicità genetica di Resia in tutta Europa, con 400 mila euro, divisi in due anni di esami, analisi e interviste ai 1.117 abitanti. «Resia ha una mappatura genetica unica perché la sua popolazione è rimasta isolata nella storia – ha ricordato il sindaco Sergio Chinese – e ora il 79 per cento degli abitanti presenta questa particolarità». Le caratteristiche genetiche di Resia significano da una parte la propensione a certe malattie e dall’altra la tendenza a godere di buona salute. «Hanno una predisposizione alla cardiovascolarità, all’ipertensione e al diabete – ha raccontato il genetista Paolo Gasparini – ma non presentano depressione e sentono molto bene, nel senso che hanno un udito sviluppato che si conserva nonostante l’invecchiamento». Risultati che hanno un po’ preoccupato gli abitanti di Resia, per le brutte notizie. «Ma si tratta anche di prevenzione – ha aggiunto il genetista Pio D’Adamo – perché solo creando la conoscenza si possono mettere in campo gli strumenti per evitare alcune malattie». Oltre a Resia nello studio sono stati inclusi anche Illegio che presenta caratteristiche simili a Resia e quindi Sauris, San Martino di Carso, Erto, Clauzetto e Casso. «Anche nel resto del mondo esistono popolazioni rimaste isolate dal punto di vista geografico, linguistico, ambientale, culturale e dell’alimentazione – ha commentato Cristina Pedicchio presidente del consorzio Cbm che ha portato avanti lo studio – che presentano caratteristiche genetiche a sé». Ma Resia, rappresentata ieri anche dagli assessori Carlo Altomonte, Cristina Buttolo e Franco Siega sembra avere essere molto particolare rispetto al codice del resto d’Europa. «Una dimostrazione che i resiani sono unici – ha concluso il presidente della Provincia Pietro Fontanini – e vanno tutelati nella loro singolarità».
Tratto dal Messaggero Veneto del 2 luglio 2010
Ilaria Gianfagna
che non sono mai depressi??????????????????????????????????????????????????????????
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RispondiEliminaa sentire il "dom",tutto il gruppo caucasoide o europeide,dovrebbe far parte della "minoranza slovena " (megalomani!!!). l'autodetermiazione dei popoli ed i diritti dell'uomo,non esistono nella loro dottrina e nel loro vocabolario.
Per inciso, l’origine degli abitanti della Val di Resia è dibattuta: esiste la leggenda di una loro migrazione dalla Russia, ma sia Jan Baudoin de Courtenay che Don Stefano Valente, di origine resina, la respinsero su basi linguistiche. Quest’ultimo nel 1868 affermò che il resiano è un dialetto dello Slavo Cragnolino e Carinziano. Insostenibile è dunque l’omologazione tra Resia e Russia in virtù di una vaga assonanza dei due termini. Il toponimo è attestato in epoca remota e nell’anno 1240 la grafia era Rexia (pronunciata come in Venexia). C’è chi fa derivare il toponimo dalla base romanza di ràsega (segheria) che G.B. Pellegrini suggerisce per il Passo di Resia, ma nel Medioevo i tronchi erano squadrati con l’accetta, che era uno strumento molto più importante della sega. Invece è evidente la relazione di Rézija con la dea Reitia, che vale allo stesso modo per il passo di Resia e per l’antica Retia. È dunque ora di valutare “scientificamente” la possibile identità dei Resiani come una “sacca” venetica arcaica rimasta isolata, la cui lingua assume risalto per l’interpretazione delle iscrizioni venetiche antiche.
RispondiEliminaTratto dal libro: La dea veneta. I Venti antichi dal Baltico alla Bretagna (Edizione Cierre 2009, pag. 153) di Piero Favero