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In silenzio, tutti con una bandiera in mano, i manifestanti hanno raggiunto il monumento ai caduti e qui, quasi volessero scusarsi per quello che sta subendo la Val Resia, hanno deposto una corona di alloro ai concittadini morti in guerra. Non prima di aver intonato l’Inno di Mameli. «I nostri caduti – hanno commentato gli organizzatori della protesta, i componenti dell’associazione “Identità e tutela Val Resia” – sono il sigillo della nostra appartenenza all’Italia. Resia è diventata italiana nel 1866 per libera scelta e i suoi giovani hanno combattuto per la madre Patria ad Adua, a Tripoli, sui fronti della Grande Guerra, in Abissinia, in Albania, in Grecia e in Russia. E nel 1946, alla commissione alleata giunta in valle, ha ribadito la sua italianità».
Un’appartenenza, quella della gente di Resia all’Italia, che è subito visibile appena varcati i confini del Comune, con centinaia di Tricolori appesi alle finestre delle case. Una tale concentrazione di bandiere, in questi giorni, non c’è in nessun altro territorio di Valcanale e Canal del Ferro. «Vogliamo che la nostra identità resiana sia riconosciuta e tutelata – spiega Alberto Siega –. Non abbiamo nulla contro la Slovenia, però è anti-storico considerare la gente di Resia una minoranza slovena. Il nostro obiettivo è difendere il nostro patrimonio culturale, linguistico e genetico, e le attuali leggi dello Stato e della Regione (482/99 e 38/01) non ce lo consentono. Per questo – aggiunge Siega – chiediamo una specifica legge di tutela, nel rispetto della nostra identità nazionale italiana e della nostra millenaria storia e cultura, secondo gli odierni principi costituzionali e le norme internazionali».
Resia infatti, vorrebbe essere riconosciuta come comunità storica di antico insediamento, con l’identificazione del resiano quale lingua slava arcaica. In caso contrario, l’associazione è pronta a mettere in atto azioni eclatanti: «Fino ad oggi abbiamo sempre agito nella legalità e nel rispetto – conclude Alberto Siega – ma siamo pronti a comportarci diversamente se non riusciremo a far valere i diritti della comunità resiana».
Tratto dal Messaggero Veneto del 18 marzo 2011
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