Con il termine Calvario si indica il dolore, la sofferenza, la Croce, ma anche una fase estremamente critica e dolorosa della vita di una persona, quasi sempre in riferimento alle sue ultime ore terrene. Questa consuetudine forse deriva dal fatto che la pietà popolare, ad esempio nella pratica di una tormentosa Via Crucis, viene intesa come una salita lunga e tribolata che deve concludersi con la fine della propria esistenza terrena.
Valentino Ostermann nel suo libro, “La Vita in Friuli”, pubblicato nel 1894, fra le altre cose che ha scritto, si legge: “A Sauris, nella Resia e negli altri paesi Slavi e Tedeschi del Friuli, si vede dappertutto il cosiddetto Calvario con dei piccoli capitelli dove sono dipinte le varie stazioni del Rosario; in cima al colle sorge una chiesa, od almeno un’ancona più grande. Rari sono invece i Calvari nei villaggi friulani.”
A Prato di Resia, luogo dove è situato il Calvario della Val Resia, capita raramente di percorrere a piedi la salita di questo Calvario. E’ consuetudine, invece, che alla sera del Venerdì Santo si proceda in processione il percorso delle quattordici stazioni, e che il prete si soffermi ad ogni capitello per rievocare l’ascesa al patibolo del Redentore.
Capita, diversamente, che in più di una occasione assistere ad una Santa Messa nella chiesetta del Calvario. All’interno di essa si trovano due affreschi di R. Fabris da Osoppo e di Giusti Luigi da Gniva. Anche nella parte interna delle quattordici stazioni, che originariamente le varie fasi della Via Crucis erano raffigurate con dipinti, ora sostituiti con delle sculture in pietra. In riferimento ad uno dei due dipinti all’interno della chiesetta, che rappresenta Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre, a suo tempo nei suoi confronti era stato espresso un giudizio poco lusinghiero, in seguito alla visita di un sacerdote di Moggio. E trascrivo fedelmente quanto Faustino Nazzi, nel suo scritto: Storia religiosa della Slavia Friulana - Dalle origini al 1920 - Ville e Vicariati Slavi, riporta,all’inizio del suo racconto, quello riguardante il Capitolo I – Resia: “Un certo don Micoli di Moggio, di ritorno da Resia dopo la visita alla scuola locale, scrive al vicario generale. "Hanno a Resia il Calvario e 14 stazioni con dipinti e alla cima una chiesetta al Santissimo Crocefisso". C'è un dipinto in particolare, rappresentante Adamo ed Eva, "affatto indecente", nudi, "una frondetta (fogliolina) copre in parte il seno dell'Eva, che non è punto brutta, anzi porge al suo misero sposo il fatal pomo con cotal viso, con cotal atto, che hanno del seducente assai e fanno dimenticar le conseguenze funeste di quella colpa e distruggono tutto il buon effetto che possono aver procurato le stazioni della passione"; meglio cancellarli.
Mons. Lodi non poteva che confermare il pudore del parroco e "sospese quella chiesetta ad ogni effetto" con l'ordine di cancellare quell'affresco.” “Ma se Eva fosse stata brutta Adamo non avrebbe mangiato la mela, anche se c'era poco da scegliere.”
Tale giudizio oggi fa un po’ sorridere, allora era considerato un fatto immorale, pertanto andava cancellato.
Il Calvario, quindi, non sempre è oggetto di sofferenza e di rievocazione ma, come in questo caso, anche di risvolti pittoreschi e di significati aggiunti che vanno oltre la realtà, quella intenzionale dell’esecutore e quella visionaria dell’osservatore
Franco Tosoni – San Giorgio di Resia
Tratto dal Messaggero Veneto del 19 aprile 2013 — pagina 45 sezione: Nazionale -
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