Fu una guerra sanguinosa. Ma agli europei e agli Usa la vittoria dei serbi non andava bene (erano rimasti gli ultimi quasi-comunisti d'Europa). Intervenne la Nato e capovolse il verdetto del campo di battaglia: i vincitori divennero i vinti. Il presidente croato Tudjman ne approfittò per realizzare la più colossale "pulizia etnica" dei Balcani cacciando, in un solo giorno, 800 mila serbi dalla krajne.
L'indebolimento della Serbia attizzò l'idipendentismo degli albanesi del Kosovo. In questa regione, da secoli giuridicamente e storicamente serba, erano diventati nel corso del tempo la maggioranza. Nel 1998 cominciò la guerriglia dell'Uck, armata dagli Usa, che faceva ampio uso del terrorismo, cui l'esercito di Belgrado rispondeva con altrettanta violenza. Si trovavano quindi di fronte due ragioni, quella dell'indipendentismo e quella di uno Stato sovrano a difendere l'integrità del proprio territorio, che i due contendenti avrebbero dovuto risolversi fra loro, anche con le armi. Ma gli Stati Uniti avevano deciso che i cattivi erano i serbi. Contro al volontà dell'Onu e violando il principio di diritto internazionale, fino ad allora mai messo in discussione, della non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano, la Nato, con l'Italia a fare da «palo», bombardò per 72 giorni una grande capitale europea come Belgrado, finché i serbi dovettero arrendersi.
Quella alla Serbia di Milosevic è stata una guerra stolta. Sia dal punto di vista nostro, nazionale, che internazionale. Con la Serbia noi non abbiamo mai avuto contenziosi (mentre con la Croazia sì), ma anzi ottimi rapporti che risalgono all'alleanza nella prima guerra mondiale e al fatto che ai primi del '900 i serbi guardavano all'unità nazionale italiana come a un modello per la loro, non ancora raggiunta ma a parte queste ragioni storiche, la Serbia del «gendarme» Milosevic, checché se ne sia sempre scritto in contrario, era un fattore di controllo nei Balcani. Ora in Kosovo, in Bosnia, in Albania, in Macedonia, in Montenegro concrescono indisturbate colossali organizzazioni criminali che vanno a concludere i loro primi affari nel Paese vicino più ricco, l'Italia.
Durante la gestione Nato del Kosovo si è realizzato, sotto gli occhi complici della Kfor, un'altra grande «pulizia etnica»: vi vivevano 360 mila serbi, ora sono 60 mila. Ma l'aspetto più grottesco è che siamo andati a favorire nei Balcani proprio quella componente musulmana, a danno di quella cristiana, che adesso ci fa tanta paura e provoca le isterie «Fallaci-style».
Infine l'aver abbattuto il principio dell'intangibilità dei confini incoraggerà l'indipendentismo di tutti quei gruppi etnici che nei Balcani, in Bulgaria, in Macedonia, in Bosnia, in Romania, sono minoranza di uno Stato ma maggioranza in una sua regione. Con quale coerenza si negherà loro ciò che è stato concesso ai kosovari? e a maggior ragione a quei popoli, i baschi, i corsi, gli irlandesi del nord, i ceceni, i curdi, che, a differenza degli immigrati albanesi in Kosovo, sono radicati da sempre su un territorio che è loro? Ecco cosa prefigura l'apparentemente irrilevante indipendenza del piccolo Kosovo.
Tratto dal Gazzettino del 22 febbraio 2008
CARTINA DELLA EX JUGOSLAVIA CON I NUOVI STATI E LA LOCALIZZAZIONE DEL KOSOVO.
(KosovoCompromise Staff) Thursday, February 21, 2008
Ringrazio per la concessione delle foto il responsabile del sito www.blogticino.ch/ifd/
«C'era una volta un Paese...», dice Ivan nel finale di Underground, quando l'isolotto si stacca e trascina tutti sul Danubio. «C'è ancora un Paese che si chiama Serbia», dice Emir Kusturica nella sua casa di Kustendorf, quell'impresa alla Fitzcarraldo che da Hollywood l'ha portato sulle Alpi Dinariche a investire due milioni e costruirsi una sua Città Ideale tutta di legno.
Il Kosovo è indipendente da una settimana, anche l'ultimo pezzo della fu Jugoslavia se n'è andato e questa dissolvenza non fa dormire Emir. Dopo 53 anni, un Leone d'Oro a Venezia e due Palme d'Oro a Cannes, neanche la serata degli Oscar lo risolleva. Pristina Dream: «Giovedì ero in piazza a Belgrado. Sono salito sul palco. Ho parlato col cuore. Sono contro quest'idea che fa passare i serbi per un popolo primitivo, distruttivo». Farebbe un film sul Kosovo? «Se serve un videogame, lo faccio. Un film classico non è possibile. La mitologia del Kosovo è qualcosa di molto spirituale. Adesso vado in Messico a girare "Gli amici di Pancho Villa". Un'altra mitologia». E in Kosovo ci andrà? «L'ultima volta, ci sono stato cinque anni fa. A Mitrovica faticano a costruire qualcosa. Ma sanno anche loro che il mito è più importante della realtà. Il nostro cervello non si nutre solo dell'oggi. Come potreste avere un presente, voi italiani, se vi togliessero Venezia o Roma? C'è un altro mito che ci fa sperare: Davide contro Golia. Il gigante cade, più che per il sasso, per la sua presunzione».
Il gigante sta scegliendo un nuovo leader...
Perché, in politica non entrerebbe?
«No. Sono solo un effetto collaterale. Sono il partito di Kusturica».
Tratto dal Corriere della Sera del 25-2-2008
«Spero in Obama. Ho molta simpatia. Vorrei che l'America fosse guidata da uno con una concezione umanistica della storia, capace di parlare ai popoli».
Non crede che in Serbia sia mancato un esame di coscienza collettivo, come lo fecero i tedeschi dopo il nazismo? Nessuno ha mai chiesto scusa di tre guerre e migliaia di morti.
«Questo non è accettabile. Possiamo parlare giorni di Milosevic e dei capitoli spregevoli della storia serba. Ma non puoi spiegare con Milosevic quel che è successo il 17 febbraio in Kosovo. Perché non tirare in ballo Tito o i turchi, allora? La tragedia del Kosovo è legata alla più grande base dei Balcani, Bondsteel, costruita laggiù dagli americani. Sui media occidentali non se ne parla mai: sempre e solo colpa di Milosevic. Non c'è intelligenza. Non fa capire perché il caso Kosovo stia diventando un modello, che so, per i baschi: anche lì si spiega tutto con Franco?».
Ma la Serbia sta diventando il miglior alleato di Putin?
«La migliore posizione serba è con l'Est e senza l'Est. Lo capì Tito. Putin può avere un ruolo positivo, ma non possiamo diventare una succursale russa. Perché domani a Mosca può arrivare qualcuno che se ne infischia della Serbia. Noi abbiamo bisogno d'una relazione stabile con l'Europa. Però queste cose deve chiederle a un politico».
Beh, dopo il suo discorso gli hooligan sono andati a incendiare l'ambasciata americana...
«Condanno quel gesto. Ma l'incendio di un'ambasciata non è lontanamente paragonabile alla distruzione che i serbi sopportano da anni. La stessa distrazione esportata in Iraq. Voi giornalisti lo chiedevate sempre agli americani: perché non proteggete la culla della civiltà mesopotamica? Loro vi rispondevano sempre: sorry, ma questa non è la nostra civiltà. Ora, nessuno che domandi agli americani: perché non proteggete la culla della civiltà serba? Il cinismo del Pentagono vi ha contagiati tutti».
Tira aria di guerra fredda.
«Il problema Kosovo parla a tutti. C'entra la differenza di culture, l'accetta-zione d'un patrimonio diverso. Le chiese, i monasteri, i poeti sono cultura europea. Ma gli americani non rispettano la cultura che non riconoscono come propria. E dov'è l'Onu che deve battersi per le società multietniche? Nessun europeo può accettare che un mondo venga distratto».
Distruzione? Nessuno sta toccando i serbi...
«Parlo d'un Paese messo nell'angolo buio del mondo. Eppure abbiamo dato il genio d'un Ivo Andric, siamo una colonna d'Europa. Non siamo l'Africa, né guerrafondai. Siamo come gli altri europei».
Però c'è un'intellettuale serba come Natasha Kandic che è per l'indipendenza di Pristina ed è minacciata di morte...
«Amico mio, sono il primo a difendere il diritto di Natasha a parlare. Ma bisogna dirlo: questi non sono intellettuali. E gente pagata da Soros (il miliardario americano, ndr)».
Lei ce l'ha con l'America, ma a lei l'America ha dato molto...
«Io rispetto il mito di Hollywood. Non la Hollywood di oggi, ma quella del passato sì: è un mio mito. Come lo è il Kosovo. Ad Angelina Jolie, nessuno si sogna di togliere Frank Capra. Allora nessuno uccida la mia mitologia».
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