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mercoledì 20 febbraio 2019

Istria e Dalmazia: se i Politicanti attuali Nazionalisti Sloveni studiassero.......

La storia dell’Istria e della Dalmazia è una storia che parla di Roma e di Venezia. Fu Giulio Cesare a fondare, dopo Trieste (Tergeste) , le colonie di Pola (Pietas Julia) e Parenzo (Julia Parentium); fu Augusto a portare i confini dell’Istria fino al Quarnaro e a creare le Decima Regio Venetia et Histria, che si espandevano dall’Oglio all’Arsa e dalle Alpi al Po. Trieste fu collegata a Pola attraverso la via Flavia che raggiungeva poi Fiume (Tarsatica). Un’iscrizione d’epoca augustea reperita nei pressi di Fiume dice “Haec est Italia Diis sacra”. Roma lasciò splendide testimonianze nel colle Capitolino e nel teatro di Trieste, nell’Arena di Pola, nell’arco di Fiume, nel Foro di Zara e nel palazzo di Diocleziano di Spalato. Nel VI secolo d.C. le orde barbariche arrivarono anche nella X Regio romana. Gli istriani si rifugiarono sulle isole della costa. Sorsero Isola, Capodistria, Pirano, Rovigno che furono collegate alla costa con ponti e istmi.

Il dominio del doge di Venezia

Della prima presenza slava vi è traccia nel famoso Placitum del Risano dell’804, in cui i rappresentanti delle città istriane chiedono ai messi di Carlo Magno di liberarli dalla pirateria dei paganos slavos, “sin autem melius est mori quam vivere”. Dall’800 iniziò l’espansione veneziana, prima contrastata anche dai feudi germanici e dal patriarcato di Aquileia; poi Venezia si affermò in tutta la costa adriatica: nel 1150 il Doge assumeva il titolo di Totius Istriae inclitus dominator. Il leone alato di San Marco, simbolo della Serenissima, da allora si troverà ovunque, dall’isola di Veglia dove comparve per la prima volta nel 1250, a tutte le città istriane e dalmate. Tra il 1400 e il 1600 più volte la peste si abbattè sulll’Istria e sulla Dalmazia. Venezia ripopolò la regione importandovi migliaia di slavi, bosniaci, morlacchi, che ne divennero valorosi soldati. La città di Venezia non a caso battezzò “Riva degli Schiavoni” il suo attracco più importante nel bacino di San Marco. Le vicende istriane sono numerose e complesse ma, sostanzialmente da allora e fino alla fine del XVIII secolo la storia dell’Istria si identificò con quella di Venezia. Ecco per quale motivo la regione fu poi definita Venezia Giulia dal glottologo Graziadio Ascoli. Il dominio di Venezia ebbe fine nel 1797 con il trattato di Campoformido. La regione passò nelle mani dell’Austria che regnò, salvo la parentesi francese del Regno Napoleonico d’Italia, fino al 1918. La vittoria della Grande Guerra, cui parteciparono da volontari migliaia di istriani e dalmati – e tra questi Sauro, Filzi, Rismondo – portò e far parte del Regno d’Italia non solo Trento e Trieste, ma tutta la Venezia Giulia e dunque l’Istria con Pola, la città di Zara in Dalmazia, le isole di Cherso e Lussino, Lagosta e Pelagosa. Fiume fu annessa nel 1924, dopo essere stata teatro dell’impresa dannunziana del 12 settembre 1919. Il sogno italico della Venezia Giulia durò poco più di vent’anni . Il diktat di pace del 10 febbraio 1947 imposto al termine della seconda guerra mondiale dalle potenze vincitrici, strappò l’Istria, Fiume e Zara e le isole all’Italia, consegnandole alla Jugoslavia di Tito.

L’ignobile Trattato di Osimo

La città di Trieste (zona A del Territorio Libero Trieste previsto dal trattato di pace) rimase sotto amministrazione angloamericana fino al 26 ottobre 1954 quando tornò ad essere finalmente libera e italiana. La zona B (la parte nord occidentale dell’Istria fino al fiume Quieto) rimase sotto amministrazione provvisoria jugoslavia fino all’ignobile Trattato di Osimo (10 novembre 1975) con il quale l’Italia rinunciò senza contropartite al suo diritto su quei territori. Con la disgregazione della Jugoslavia e la nascita dei due nuovi Stati sovrani (1992) l’Istria fu divisa in due: la parte settentrionale fino al fiume Dragogna entrò a far parte della Slovenia, mentre la parte a sud del Istria, il Quarnaro, la Dalmazia divennero Croazia. Nessuno dei due Stati ha ritenuto di restituire agli esuli italiani neppure un mattone delle proprietà confiscate dal precedente regime comunista jugoslavo. Il martirio delle foibe di Trieste e dell’Istria, con il loro tragico carico di migliaia di morti senza croce e l’esodo dei 350.000 istriani, fiumani e dalmati è ora patrimonio della coscienza comune degli italiani grazie alla legge sul Giorno del Ricordo che si celebra il 10 febbraio di ogni anno.

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