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Il Popolo Resiano, lotta contro l'imposizione all'appartenenza alla Minoranza Nazionale Slovena

giovedì 27 ottobre 2011

Val Resia: niente in comune con la Slovenia

Noi non possiamo uscire dalla nostra storia e dalle nostre tradizioni per far posto e per far parte di una famiglia numerosa e colorata slovena. Alcune delle nostre profonde radici culturali non ci legano a tale famiglia, noi abitiamo nella valle dei denti canini dove coerentemente rifiutiamo ogni accostamento su tutto quello che loro di originale non hanno: musica, danza, tradizioni, usi e costumi, lingua, ma solo tarocchi scopiazzati da altre culture e tradizioni. Ecco allora l’arroganza di una rappresentativa minoritaria che ha determinato questo imbroglio, cioè quello di apparentarsi con una famiglia che noi rifiutiamo per varie ragioni, sparigliando le carte sul tavolo da gioco e bluffando senza avere in mano la legittimazione e il parere preventivo di una intera comunità. La gente è stata informata dei fatti, quelli di includere Resia nell’ambito della minoranza linguistica slovena, solo perché confiniamo con lo stato di Slovenia, ma che in comune non abbiamo né cultura né tradizioni e con la lingua non ci capiamo e non ci intendiamo, quando questi fatti erano già stati decisi da uno sparuto gruppo di consiglieri di minoranza. Li cito: Luigi Paletti, Dino Valente, Lino Di Lenardo e Nevio Madotto, ingenui sognatori che si sono scordati degli altri 1200 circa resiani residenti e dai 5.000 ai 10.000 (numero approssimativo) di quelli emigrati che non hanno avuto e potuto esprimere la loro valutazione e la loro preferenza. Ingenui, forse con la loro azione pensavano di salvare così il resiano introducendo a supporto lo sloveno, tenendo anche conto della enormità di finanziamenti che avrebbero portato la Val Resia a beneficiarne all’infinito. La crisi economica in atto, non solo resiana, italiana, ma globale, ha scoperchiato la pentola. Invece di trovarsi dei fagioli e companatico si son trovati un pugno di mosche in mano. La festa è finita, i soldi pure, le previsioni si sono stemperate e adesso cari resiani andate in pace. In che modo possiamo pensare a introdurre lo sloveno come guida nella nostra cultura, nel nostro originario mondo particolare ed esemplare, se siamo noi a originare gli elementi di studi particolari della nostra lingua, la lingua resiana? Si sono lasciati ingannare come dei bambini che vanno all’asilo, oppure sono stati manovrati e incoraggiati da forze esterne. Egoisticamente parlando non si può prendere delle decisioni così a cuor leggero senza pensare alle conseguenze e alle ripercussioni che ne potrebbero derivare, che poi come tali si sono rivelate. La sopravvivenza di un popolo, noi siamo un popolo, il popolo di Resia, non si basa sull’imbroglio, ma sulla lealtà dei suoi rappresentanti. Siamo stati truffati e raggirati, non tanto nei confronti di chi vuol mettere le mani sulla Val Resia, ci hanno già provato, ci stanno provando e ci proveranno ancora, sono tenaci, ma ingannati dai nostri stessi compaesani e la cosa assume rilevanza molto grave. Questo vuol dire che hanno avuto dello spazio di visibilità sopra le loro capacità di interpretazione logica e di ragionevolezza. Visto da una nostra prospettiva e da una nostra riproduzione, il disegno risulta molto deformato e inconcepibile sotto tutti gli aspetti, sia della cromatica sia delle asimmetrie, quanto basta a renderlo sproporzionato ai nostri occhi. Quando si vuole strafare senza averne i meriti e le capacità e meglio mettersi da parte per non fare nuovi danni e disastri. Il danno forse è ancora riparabile, ma saranno altri che lo dovranno fare e lo stanno già facendo, ma quanta fatica per una leggerezza ed una interpretazione sbagliata di una legge ambigua e paradossale. Giusto quindi chiedere un riconoscimento normativo specifico anche per la lingua resiana e per tutto il suo ambiente culturale, come è già stato fatto per altre realtà del nostro arco alpino, lo meritiamo e lo invochiamo per tutte le nostre caratteristiche originali, come chiede ed interpreta anche il sindaco Sergio Chinese. Si parla di protezione e la sopravvivenza di una minoranza, ma in questo caso, come è stata concepita questa leggendaria, mitica, ma insignificante e famigerata legge 38/01, la nostra minoranza linguistica non solo avrà vita breve, se applicata, ma addirittura avrà il suo de profundis per la volontà e la compiacenza dei nostri amici sloveni. Un paradosso, e riprendo il pensiero e l’analisi di Lidio Buttolo, è un ragionamento che appare contraddittorio, ma che deve essere accettato, in questo caso si dovrebbe accogliere quanto è stabilito da questa pessima legge 38/01, oppure un ragionamento che appare corretto, ma che porta a una contraddizione e si tratta, secondo una definizione, che ne dà: «una conclusione apparentemente inaccettabile, che deriva da premesse apparentemente accettabili per mezzo di un ragionamento apparentemente accettabile». Ci siamo caduti, ci stanno infangando e da questo fango sarà dura uscirne, ma noi abbiamo la forza e la determinazione di riprenderci quello e quanto altri ci voglio portar via, per mezzo di un ragionamento apparentemente accettabile.
Franco Tosoni San Giorgio di Resia

Tratto dal Messaggero Veneto del 26 ottobre 2011

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