Quando si smarrisce la vecchia
strada, è inevitabile che perdi buona parte della tua identità e la correlazione
alla tua personalità. In questa valle, fra le nostre contrade, lungo i nostri
sentieri, fra le nostre montagne, gli stavoli, le malghe, e tutto ciò che
circonda e ricorda la nostra bellissima valle, nei circa 1400 anni, dal loro
insediamento, i resiani si sono impegnati faticando per mantenere unito il
nucleo, la propria etnia, il proprio popolo, la propria identità, il proprio
orgoglio di essere resiani, senza mai scendere a compromessi e per barattare,
per qualche ricompensa, la propria personalità e la propria
dignità.
Cinque frazioni, più gli altri
agglomerati, che formano e modellano la nostra Valle e costituiscono le
fondamenta della nostra comunità e della nostra cultura, una frazione, fra
queste, si propone a paladina del trasformismo, senza tener conto, e a dispetto,
della contrarietà di tutti gli altri nativi locali. Sia ben chiaro che non
intendo fare di ogni erba un fascio, bensì muovere una rilevante
disapprovazione, non contro la maggioranza silente degli abitanti di Stolvizza,
ma nei confronti di quei esigui personaggi di espressa e manifesta intolleranza
nei riscontri della lingua resiana e di tutto quello che ne
deriva.
Così all’improvviso spuntano i nuovi
crociati, questa volta non per salvare e salvaguardare il Santo Sepolcro, ma per
difendere e proteggere la lingua resiana, minacciata da chissà quali eserciti
religiosi, arrivati da chi sa dove. La lingua,il resiano, sta perdendo la logica
della sua particolarità e dopo così tanti secoli, la sua vitalità e la sua
incisività, non avendo più quella caratteristica della fonetica linguistica
originale. Ha, quindi, necessariamente bisogno di una riordinata ed una ripulita
con l’introduzione del bilinguismo accompagnato dal beneplacito, dal consenso,
dal coordinamento e la regia della nostra madre lingua
slovena.
Tutta questa rivoluzionaria impronta
di aggregazione ad un più evoluto pensatoio linguistico, grazie a questi
precursori, che sapientemente hanno progettato di provvedere a salvare in tempo
quello che noi, poveri ed sprovveduti successori della modesta gente di
estrazione popolare, senza dimenticare che più o meno siamo stati tutti
concepiti all'ombra del maestoso e imponente Canin, avevamo da tempo smarrito e
confuso la nostra strada maestra.
Questi nuovi salvatori, senza
chiedere il permesso a nessuno, si sono sconsideratamente impossessati del
sapere resiano ergendosi come paladini della nostra cultura e trattando la
nostra lingua come fosse cosa esclusivamente di loro proprietà. Non hanno
minimamente tenuto conto degli altri, semplici e onesti montanari, perché, in
definitiva, siamo tutti considerati tali. Le nostre origini sono quelle e
nessuno potrà mai candeggiare questa etichetta indelebile. Hanno accettato di
buon grado dei vantaggi e delle prerogative
che sono andate al di là della logica di correttezza e moderazione,
arroccandosi a protettori della sapienza resiana, senza consenso e con
presunzione.
Cosa direbbero oggi quegli arrotini
che partivano per terre lontane, in cerca di lavoro e di fortuna, spingendo a
mano la propria krösma, i nostri muratori, i nostri manovali, i nostri
boscaioli, i nostri contadini, le nostre mamme, i nostri padri, le nonne, i
nonni e tutta la nostra etnia che pazientemente e con passione hanno insegnato a
noi la differenza che c’era e che c’è tra: din rosaijanki, din laski anu din buski (un resiano, un italiano ed
uno sloveno). Pur considerando che siamo tutti figli di questa terra ma in cuor
nostro esiste, guai se fosse l’incontrario, da sempre, una diversità linguistica
e tra queste diversità un orgoglio di essere per quello che siamo e non per
quello che altri ci vorrebbero insegnare ad essere, snaturare la nostra
appartenenza, compromettere la nostra lingua e consigliarci ed imponendoci ad
essere diversi.
E come giudicherebbero e
risponderebbero, oggi, quelle persone presenti a manifestare il 01 aprile 1946,
in occasione della visita
della commissione di interalleati composta da: francesi, inglesi,
russi e americani, a seguito delle pretese annessionistiche del territorio di
Resia all'allora Jugoslavia del Maresciallo Tito?
A tal
proposito riporto, di seguito, uno stralcio dell’articolo scritto, allora, dal
giornalista Pietro Fortuna, e pubblicato sul giornale LIBERTA' il 02 aprile 1946:
“Allorché il sindaco esce dalla saletta viene condotto al mio
cantuccio, ove sono virtualmente prigioniero, ed è obbligato a ripetere in un
silenzio religioso, parola per parola, le domande rivoltegli e le risposte
fornite. "Mi hanno chiesto per prima cosa quale lingua parliamo - egli dice -
che scuole e chiese abbiamo. Italiane, italiane, italiane ho risposto. mi hanno
quindi chiesto quanti operai conta la vallata, come e dove lavoriamo. Quanti
capi di bestiame abbiamo, qual'é la nostra situazione alimentare, quale è lo
sbocco economico e commerciale di tutte le nostre attività. Il delegato
sovietico, che fungeva da presidente mi poneva le domande a cui rispondevo a
mezzo di interpreti. A un certo punto un delegato francese disse: “non c'è alcun
dubbio sull'Italianità di questa terra" ed al momento di congedarmi io
raccomandai a lui la comprensione di quanto avevo
esposto".
“E' ormai mezzogiorno e la Commissione lascia
Resia (frazione Prato, p.n.) dirigendosi a nord verso Stolvizza che riceve gli
ospiti eccezionalmente con archi tricolore, campane a distesa ed un unanime
accorrere di bimbi. Bimbi vestiti a festa con i capelli strigliati a dovere,
accompagnati dalle madri che li protendono verso i delegati. I delegati
sorridono, fotografano, esaminano la chiesa, si muovono nel minuscolo paese
seguito da un codazzo di persone che battono le mani gridando "Italia". Le mamme
ci tengono a far bella figura ad allorché hanno visto alcuni delegati
accompagnarsi con i bimbi, ritoccano le toelet dei loro e li costringono a
soffiarsi il naso volenti o nolenti a son di
scapaccioni.”
Ho voluto riproporre questo passo per
fare una comparazione e dare una ragione ad un principio critico, sensibilizzare e indicare con un appunto di
giudizio e valutazione di immagine nei confronti di chi oggi non ha memoria del
passato: Stolvizza, perché è in quella e da quella località che pervengono i
maggiori contrasti e le più rilevanti contrapposizioni, da alcuni dei suoi
abitanti, rinnegando le proprie origini per abbracciare una realtà che a noi,
maggioranza che oggi vive a Resia, e ai nostri emigranti, suona discordante e
tendenziosa e che rivela poca e disattenta memoria nel disconoscere il
passato per abbracciare il presente ed il futuro con una inclinazione forzata e
innaturale. Cerchiamo, quindi, tutti assieme, di esaminare attentamente uniti il
nostro passato e cercare di non percorre a ritroso la nostra storia,
preferibilmente procedere, in futuro, lungo la strada con un percorso resiano,
nello stesso tempo e per lo stesso motivo.
Franco Tosoni
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