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Il Popolo Resiano, lotta contro l'imposizione all'appartenenza alla Minoranza Nazionale Slovena

lunedì 18 gennaio 2010

IMBOCCARE LA VIA DELLA CONCILIAZIONE

 Ci si infiamma facilmente, senza volere, quando si legge di chi difende con convinzione la propria storica identità. È il caso degli appartenenti alla Slavia friulana: San Pietro al Natisone, le Valli del Torre, Resia. Recentemente l’associazione Identità e tutela della val Resia ha promosso (12 dicembre, auditorium Zanon) sul tema una serata culturale davvero encomiabile, con l’intervento di qualificati personaggi. Questa bella iniziativa ha riportato anche me, per un momento, alla Slavia istriana per una riflessione su di essa che può interessare e che intitolo: “L’eredità di Venezia nell’anima”. Riguarda, infatti, non solo gli italiani dell’Istria, ma anche gli slavi originari, cioè tutta l’Istria, quella plurietnica. Ripercorro velocemente la storia. L’ingresso degli slavi risale al VI secolo, quando in marcia verso l’Italia, provenienti dal Danubio, gli slavi si incunearono in Friujli e nella penisola istriana (Grande atlante storico-cronologico comparato di G.G. Corbanese). Si trattò, nel complesso, di una pacifica immigrazione di coloni regolata per chiamata in tempi successivi dai duchi franchi, prima, poi dai patriarchi di Aquileia, infine dalla Repubblica di Venezia. Il fatto eccezionale è che questi slavi originari, una volta stanziati nelle singole isole etniche, non si sono mai considerati nella scala storica minoranza di qualche altra popolazione slava, né quindi minoranza slovena né minoranza croata, ma, invece, sempre, semplicemente, appartenenti a una Lega della Slavia avente una lingua propria, un antico dialetto slavo, e una propria storia da conservare e tutelare. È la tesi sostenuta anche dall’Associazione italiana slavisti, che sottolinea e aggiunge, anzi, che queste popolazioni slave immigrate più di 1.200 anni fa in ogni occasione hanno vantato un’indiscussa autonomia e «uno spaccato antibalcanico affidato all’eternità». La catalogazione di appartenenza, come si è tentato di fare, all’ex Jugoslavia (oggi Slovenia e Croazia) è rifiutata come l’esser gettati in una fossa comune. Questa lega ha partecipato, infatti, attivamente alle vicende del Patriarcato di Aquileia, poi a quelle della Repubblica di Venezia, infine a quelle del Regno d’Italia. Verrebbe a mancare, quindi, la giustificazione storica, che i media sloveni e croati continuano a sfornare con una predicazione dal pulpito nazionalistico, di inglobare queste popolazioni per liberarle dall’oppressione italiana. Per quanto riguarda specificamente l’Istria, siccome ciò è già avvenuto, è stato sul piano politico un viscerale favore politico, una diminutio capitis, indecente e contraria al volere della popolazione originaria che grava sulla coscienza politica di chi l’ha realizzata. Sarebbe ora di imboccare la via della conciliazione proponendo la costituzione di una regione autonoma istriana sull’esempio di quanto ha ottenuto l’Austria dall’Italia per il Südtirol. Cesserebbe così ogni recriminazione e tacerebbe per sempre quel diapason stonato del nazionalismo ormai superato che viene fatto vibrare. Intanto si eviti di ostentare nella mischia piazzaiola delle manifestazioni le gigantografie di Tito e si intitoli la piazza di Capodistria, oggi piazza Tito, al Vergerio, il giurista artefice della riforma protestante.


Nello San Gallo 


Udine


Tratto dal Messaggero Veneto di domenica 17 Gennaio 2010

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